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Qualche appunto sparso, a mente fredda, sulla terza sconfitta stagionale della SPAL arrivata sul campo della Recanatese.

Come si è arrivati (così presto) a questo?

Inizi la stagione tutto sommato bene. O meglio: con tanti buoni propositi. Precampionato tutto sommato tranquillo, calciomercato apparentemente assennato per quelli che erano i presupposti di bilancio, pubblico che risponde presente nonostante una progressiva discesa e le tensioni post-retrocessione. Vittoria seppur risicata al debutto con la Vis Pesaro ma va bene, l’importante è cominciare con tre punti e un altro po’ d’entusiasmo dopo mesi di batoste. Arriva una sosta imprevista di una settimana per lavorare con calma su condizione e automatismi, ti ritrovi con 8.000 persone per la partita col Perugia e la sblocchi pure subito con un angolo. Il Perugia però la ribalta in tre minuti prima dell’intervallo e da lì si entra in una spirale di negatività che neanche la vittoria in extremis di Alessandria riesce a rallentare. Cosa affligga di preciso questa squadra è un mistero. Quello che provoca però è chiaro: desolazione, talvolta anche sconcerto. Perché sembra impossibile che con questi giocatori si possano perdere 3 partite su 5 ed essere sull’orlo del 4 su 6 per via dei primi 57 minuti di SPAL-Lucchese. Nessuno aveva pensato a un campionato da dominatori, ma nemmeno di dover iniziare a guardare la classifica con preoccupazione già alla sesta giornata.

Di Carlo non può che traballare

Se perdere a Cesena (che ne ha rifilati 5 anche al Rimini) poteva anche starci, finire al tappeto a Recanati senza mai dare la sensazione di poter contendere realmente il risultato ha inevitabilmente imposto alla società di iniziare a riflettere sulla posizione dell’allenatore. Ormai sembra chiaro come l’idea del 433 tutta qualità si sia rivelata azzardata e improduttiva, complici anche alcuni infortuni, un calendario fittissimo e giocatori lontani dalla condizione ideale. Ma non c’è solo questo. La SPAL vista finora non sembra avere alcuna identità precisa, né nel sistema di gioco né nei concetti essenziali che Di Carlo ha predicato fin dall’inizio. E nemmeno nella sua impostazione ideale. Su sei partite giocate il tecnico ha proposto altrettante formazioni diverse. Certo, ci sono stati dei contrattempi e la necessità di dosare le energie, ma anche questo dettaglio pare indicativo di confusione. Il punto è: davvero quanto stiamo vedendo è il massimo che si può cavare da questo gruppo in questo momento? Se è così separarsi da Di Carlo non ha senso. Altrimenti andranno considerate delle alternative che vanno oltre ai correttivi interni.

Non esistono risposte facili o immediate

Per carità, può anche essere che inserendo Contiliano a centrocampo o ingaggiando un centravanti fermo da mesi si possano migliorare le cose, ma viene il dubbio che le difficoltà e i problemi abbiano radici più profonde, da ricondurre al lavoro quotidiano e ai principi che dovrebbero regolare le scelte di chi va in campo. L’organico ha senz’altro i suoi limiti – intrinseci ma anche legati a specifiche circostanze sfavorevoli – ma non può avere un rendimento così scadente solo perché davanti manca un centravanti di stazza, soprattutto perché buona parte delle squadre avversarie presenta organici molto, molto, più limitati. In estate Tacopina aveva ingaggiato Filippo Fusco con l’idea di provare a ripetere il miracolo fatto a Bologna nel 2014, quando col portafoglio vuoto (o quasi) il direttore riuscì ad allestire una squadra competitiva al punto tale da giocarsi il campionato tra mille difficoltà. I presupposti qui non erano dissimili, con l’aggiunta della necessità di valorizzare il patrimonio del settore giovanile, come effettivamente si sta tentando di fare. Una prova dal coefficiente di difficoltà proibitivo. Perché coi giovani nella singola partita può andare come con Angeletti (bello il suo spezzone di partita, ed è un 2005) o come con Puletto, tradito dalla sua esuberanza.

Hai voglia di parlare di ambiente positivo

Gli oltre 4.400 abbonamenti dicono che i tifosi avevano voglia di concedere ulteriore fiducia a una società che in due anni ha costruito squadre capaci di perdere 30 partite su 76 (39,4%). Questa stagione, tra le altre cose, pareva anche quella giusta per interrompere l’allucinante striscia di partite senza due vittorie consecutive che dura da maggio 2022. In panchina c’era ancora Roberto Venturato, nella stanza del direttore sportivo sedeva ancora Giorgio Zamuner. Non sorprenda quindi se il clima è avvelenato. A renderlo tale sono due campionati (più altri due) di delusioni a raffica.

Ci sono state partenze anche peggiori

Meglio chiudere con una piccola nota statistica venata di cauto ottimismo. Quella della SPAL 2023/2024 (6 punti in 5 partite) non è neanche lontanamente la peggior partenza nell’epoca dei tre punti a vittoria. Ci sono state ben sette stagioni iniziate dai biancazzurri con risultati peggiori e tra queste ce ne sono due che possono rappresentare esempi di carburazione lenta. Nel 2013 la prima SPAL dei Colombarini – fino a qualche mese prima Giacomense – cominciò con la vittoria cancellata a Renate per l’infortunio dell’arbitro e raccolse solo 4 punti nelle prime 5, pareggiando amaramente il recupero. Leo Rossi pagò a ottobre con l’esonero, arrivò Gadda e l’obiettivo stagionale venne raggiunto. Nel 2016 invece furono 5 i punti in altrettante gare e alzi la mano chi allora pensava che a maggio si sarebbe potuto festeggiare il doppio salto. Certo, ci sono anche esempi meno incoraggianti. Tipo quella della SPAL 1996/1997 che fece 5 punti e a fine stagione finì in C2 dopo i playout con l’Alzano o la versione 2019/2020 che riservò 3 punti e sembrò avviata a un epilogo mesto che poi si è puntualmente verificato.