foto Filippo Rubin
Dinamica Media – leaderboard
Dimedia – leaderboard

Mi ricordo da bambino, quando sognavo una maglia e pallon (cit.), di avere spesso bluffato sulle mie condizioni di salute per andare alla S.P.A.L.. Quando dovevo andare a scuola mi bastava una temperatura di 36.9° per ritrovarmi con tremendi rantolii e spasmi corporei, mentre sprizzato vivacità nascondendo il termometro per una dignitosa febbre a 38° e due figure per andare alla partita. Questa salute a intermittenza mi ha accompagnato poi anche nell’adolescenza: mi è capitato di partire per la trasferta di Como assieme alla mia brutta banda con un febbrone da cavallo e la gola impestata. Bene, domenica ho risalito i gradoni come uno che ha perso la verginità a causa del famigerato colpo della strega. A dire il vero la botta lombare mi è venuta dopo un’attività estremamente pericolosa e assai dispendiosa dal punto di vista muscolare. Mi stavo allacciando le scarpe. Ecco, la mia domanda rivolta a tutti noi è: perché? Cosa ci spinge ad essere presenti, partecipi, coinvolti e assetati di voglia di vincere con una squadra che versa nelle condizioni della nostra? Passione o ossessione? Voglia di partecipare oppure amore torbido e sconfinato nei confronti del Marchese De Sade?

Io questo non lo so. Avremmo bisogno di terapie di gruppo che fortunatamente già seguiamo da sempre, e cioè lo stare con la nostra gente a tifare i nostri colori. Questo ci basta anche se ci distrugge e ci imbruttisce nell’attesa del maledetto lunedì. “Al lunedì, che delusione, andare in fabbrica al servizio del padrone“… senza fare nessun riferimento a tifoserie lontane e che non esistono, è solo la fotografia del mio stato d’animo il primo giorno della settimana, mentre attraverso mestamente il parcheggio della portineria Ovest. Domenica sera per l’occasione ho pure fatto riemergere dalla tomba in mio vecchio bomber. Cioè quello vero, nessuna imitazione, il giubbotto più ignorante che esiste simbolo della nostra generazione, recluso nell’armadietto in cortile da epoca immemore. Un outfit datato 1988 catapultato nel 2023, un indumento quattro stagioni, tanto non c’è un periodo realmente adatto per indossarlo. Ti fa sentire freddo d’inverno e caldo d’estate. Nelle mezze stagioni spesso non ripara dal vento o lo fa troppo. Con lui ci ho fatto realmente tutto: mi è servito da alcova, è stato in naja, in trasferta, al mare, in montagna, sulla neve e in albe ubriache. A una manifestazione, in moto, sulla mia A112, in campeggio. Ovunque io ero, lui era con me. E indossarlo anche ora da vecchio è stato un privilegio e una soddisfazione, che da solo vale il prezzo del biglietto (anche se sono abbonato). Poco importa se i miei lombi hanno augurato a me e al bomber svariati accidenti.

Dice: perché questo inutile preambolo, perché questa lunga introduzione? Per darmi modo di soppesare le parole, per tradurre le bestemmie in pensieri minimamente lineari, senza sbraitare. Questo senso di leggera angoscia che mi attanaglia mi fa pure vergognare nei confronti di un mondo che va a catafascio. Ma non posso farci nulla se questa squadra mi genera sempre sentimenti spropositati sia nel bene sia nel male. Credo che il fallimento del progetto della SPAL sia sotto gli occhi di tutti. Troppo palese per essere camuffato da pensieri democristiani. La squadra, l’allenatore, i dirigenti sono figli di una proprietà lontana, ma non solo geograficamente. Di un presidente che culturalmente sta al nostro ambiente come il pipino all’acqua fredda. In poco più di due anni è stato depauperato un patrimonio di inestimabile valore. Pensavo avremmo potuto essere una dignitosa realtà per la serie B, senza i fantasmi delle serie inferiori. Invece ci siamo dentro e per giunta facciamo da zerbino a qualunque squadra ci affronti. Gli avversari si puliscono i tacchetti sulla nostra faccia, ci prendono a pallonate sul nostro campo, nel nostro stadio. In trasferta più che una Corsarina siamo un colabrodo. Un progetto tecnico dove non c’è un reparto che non abbia problemi.

Una parte della vulgata critica la Ovest per le posizioni giuste che prende, mascherandosi dietro a una succube timidezza e una riconoscenza immeritata nei confronti della proprietà che “ha speso molti soldi“, come se il gettare alle ortiche dei denari fosse un’attenuante. Al massimo è una aggravante. La curva Ovest con la sua gente, ma non solo, è detentrice di una storia secolare, fatta di sacrifici e fatica, di passione e dolore, di aggregazione e solidarietà. Nessuno mai potrà toglierci questi valori: fanno parte di un popolo di rompicoglioni, contadini, provinciali, orgogliosi della propria bandiera, nella dignità dell’essere spallino. Questa squadra senza un numero adeguato di innesti a gennaio non si salverà. Non lo so quale sarà il nostro prossimo futuro e in quale categoria continueremo a prendere a calci un pallone. Ma di una cosa sono certo: dal fango e dalla polvere siamo emersi mille volte, mille volte siamo morti, ma altrettante ci siamo rimessi in piedi. “… cerchiamo di resistere / e ce la faremo per sempre / noi siamo vivi /e il futuro non morirà mai /noi siamo vivi…” cantavano gli Scorpions. E chi siamo noi per non dargli ragione? Forza vecchio cuore biancazzurro.