Lostaff tecnico della SPAL 2024/2025. Il preparatore atletico Mauro Franzetti è il terzo da destra. [foto ufficio stampa SPAL]
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Le speranze di vedere una SPAL veloce e combattiva sono affidate soprattutto alle mani di Mauro Franzetti, da ormai tre anni uomo di fiducia di mister Andrea Dossena. Durante il quinto giorno di ritiro abbiamo avuto il piacere di fare quattro chiacchiere con il preparatore atletico biancazzurro per capire meglio come sta andando il precampionato e comprendere meglio il suo ruolo nel contesto di un’intera stagione.

Come sta la squadra dopo questi primi giorni di ritiro? 
“La squadra è stanchissima (ride, ndr). La mole di lavoro è importante quindi è normale e fisiologico che la squadra accusi la stanchezza. Lo stato fisico è questo, c’è stanchezza ma è assolutamente normale”.

Quali sono le differenze tra il lavoro che si effettua in ritiro (e quindi in montagna) e quello che viene effettuato al centro sportivo? 
“La differenza non è tanto legata alla temperatura o al tipo di lavoro, ma è uno sviluppo delle qualità aerobiche con l’incremento del volume e dell’intensità dei lavori di forza. Non si lavora in maniera differente tra il ritiro e la stagione, si tende a portare avanti una programmazione con il vantaggio che qui il clima permette di fare lavori più abbordabili. Lo stesso tipo di allenamento proposto a temperature più elevate non sarebbe ovviamente fattibile; anche il riposo è favorito con le temperature più basse che abbiamo qui di notte”.

“Portiamo avanti un programma, siamo partiti da zero e dobbiamo arrivare a X: l’obiettivo di ogni seduta è quello di migliorare l’atleta e ogni tappa ti consente di arrivare a raggiungere un livello più elevato. Sulla parte di resistenza siamo partiti con lavori di volume per poi passare a quelli più intensi: l’obiettivo è portare il giocatore nella miglior condizione possibile dando continuità all’allenamento. L’intensità crea maggiore stress e stanchezza ed è il motivo per cui i risultati si vedono a lunga distanza, ma questa è la filosofia che ci siamo dati sulla base dei giocatori disponibili”.

Esiste un’effettiva “fine” della preparazione estiva? 
“In teoria non esiste una fine della preparazione, esiste invece un’evoluzione dei lavori che si introducono. Si passa da quelli meno veloci di lunga durata per passare a lavori sempre più brevi con velocità più alta: come la costruzione di una casa, i lavori più estensivi di corsa, che definirei portanti, si costruiscono nelle prime settimane. Il passaggio esiste ma è dettato dal calendario, che va rispettato”.

In termini funzionali come incide il numero di giocatori a disposizione e come cambia (se cambia) l’allenamento? 
“In questi termini la società è stata brava a fare una selezione: abbiamo portato un numero consono di giocatori, ci sono 26 convocati. L’altra parte di giocatori è stata divisa ed è rimasta a Ferrara e questo ha permesso di fare un lavoro più di qualità. Era impensabile lavorare con oltre trenta calciatori, non lo consentono proprio gli spazi e le capacità: la selezione è stata fatta a monte dalla società che ha definito un gruppo di giocatori che non rientrano nel progetto. A me non cambia nulla, anzi, mi migliora il lavoro: il campo, la palestra e tutto il resto magari avrebbero anche consentito di accogliere un numero più elevato di giocatori, ma allenare e preparare quaranta giocatori diventa disumano per me così come per l’allenatore, anche perché poi dovresti dividere le sedute in turni”.

La performance di un giocatore durante la preparazione può influenzare le scelte di mercato?
“Tutti i giocatori presenti in questo momento noi li consideriamo titolari. Li alleniamo come fossero giocatori che al 100% saranno della SPAL a inizio campionato. Le scelte di mercato non sono legate alla preparazione, noi prepariamo tutti in egual modo”.

Quanto contano i dati nella preparazione atletica e nel contesto quotidiano? 
“I dati servono per poter programmare l’attività. Utilizziamo i dati basilari per poter programmare il lavoro aerobico, poi diciamo che l’esperienza, e anche un po’ il metodo, portano a lavorare senza aver bisogno sempre di dati e numeri. Questo per quanto riguarda la parte di forza. Per quanto riguarda invece il campo usiamo un GPS che misura il carico esterno e fornisce ottime indicazioni su intensità e volumi di allenamento: anche lì poi si apre un mondo, però io credo che la cosa essenziale sia il campo”.

Il programma e la preparazione si differenziano in base all’età dei giocatori? Giovedì in campo la SPAL aveva contemporaneamente Rao (2006) e Antenucci (1984).
“L’età incide nella differenziazione individuale: l’intensità cambia a esempio nei test di ingresso che abbiamo fatto a Ferrara. Più avanti si differenzierà poi il lavoro in base al livello di forza individuale che ogni giocatore ha. Queste cose verranno scandite e individuate più avanti: nella parte di aerobica e forza in questo momento siamo più orientati verso la didattica. La differenza ora come ora non esiste nel carico, ma l’obiettivo è insegnare a eseguire l’esercizio. Una volta che uno ha padronanza nel gesto e nella gestione del carico, allora andiamo a differenziare l’Antenucci o il Boccia della situazione, ma in base a resistenza, forza, e tutto ciò che è legato alle caratteristiche fisiche dell’atleta. Ci sono giocatori più portati alla velocità, altri più portati alla forza”.

Che ruolo ha il preparatore atletico nello staff di mister Dossena? Vi siete conosciuti a Renate e ora la collaborazione continua: le idee collimano a quanto pare.
“Sì, Dossena l’ho conosciuto a Renate e ho avuto una fortuna incredibile a trovare uno come lui perché è un allenatore che dà grande spazio alla figura del preparatore atletico. Ti invoglia a lavorare, la sua richiesta è di fare sempre di più e mai qualcosa di meno. Per come ero orientato io, a lavorare molto sulla forza, lui richiedeva la stessa cosa per cui quando ci siamo incontranti la prima volta con me sfondava una porta aperta”.

Quali sono i benefici principali di lavorare sulla forza?  
“Credo che la forza sia una delle qualità più trascurate in ambito calcistico. che però può dare grande vantaggio ai giocatori: previene gli infortuni e permette di avere maggiore resistenza nell’arco dei novanta minuti. Attui un lavoro di prevenzione: se elevi le qualità di forza a un giocatore automaticamente migliora la sua esplosività e la sua velocità, per cui allenando una componente di base ti ritrovi un giocatore più veloce e più reattivo. È trascurata in generale, non solo in Italia: è difficile trovare squadre, preparatori o nazioni che abbiano questa cultura della forza nell’introdurre carichi di una certa importanza, con giocatori che riescono a sollevare anche una volta e mezza o due volte il loro peso corporeo. Hai grossi vantaggi in termini di efficienza ma anche di prestazioni”.

Durante le ultime due stagioni si è spesso parlato di un calo delle squadre di Dossena a metà stagione. È una cosa che avete analizzato e su cui avete lavorato?
“Dati alla mano non c’è mai stato un evidente calo fisico. Il problema sorge quando perdi o non fai i punti che avresti dovuto fare e allora il luogo comune è dire che la squadra è calata fisicamente. Bisogna essere oggettivi nell’analizzare le cose: serve capire quanto si era fatto più del dovuto prima e quanto invece determinate cose non sei più in grado di ripeterle. L’attaccante che sbagliava gol, infortuni, squalifiche: nelle rose non molto lunghe o con limitata qualità, si tende a dare la colpa al calo fisico, che però appunto i dati non confermavano. Se alla squadra togli un paio di elementi cardine agli 8/9 titolari già fai fatica. A Vercelli c’è stato un problema simile, tra infortuni e giocatori magari non sostituiti adeguatamente a gennaio. Quando entri in mancanza di risultati con gruppi che fanno più fatica a reagire in termini di personalità è più difficile poi invertire la rotta. Chiaramente noi facciamo auto analisi e critica al nostro lavoro, ma i dati non confermavano il calo fisico: è, come dicevo, la giustificazione più semplice che si trova quando una squadra non rende, così come viceversa si dice di una squadra che se vince molto corre forte, che non è altrettanto vero”.

Riguardo alle tue esperienze passate, hai già lavorato alla SPAL nella stagione 2020-2021 con Pasquale Marino.
“Ho fatto la mia carriera abbastanza lunga, contorta e complessa e ho sempre fatto il responsabile. Nell’anno alla SPAL, dopo aver lavorato con Pasquale Marino per tanti anni come primo, ho collaborato con Giovanni Petralia: quell’anno, così come l’anno in cui ho avuto la fortuna di lavorare all’Inter, mi sono ritrovato a lavorare come comprimario. Per indole mi ritengo e mi piace fare il responsabile, ma ho comunque accettato quest’offerta collaborando con Marino con un ruolo diverso. Le decisioni principali non le prendevo io ma le prendeva Petralia: io aiutavo a svolgere quello che decideva Con questo non intendo dire che i risultati fossero o non fossero di mia responsabilità, però le cose sono proprio diverse per il ruolo che ho ricoperto e che invece ricopro ora”.

Che cosa è cambiato rispetto a quella esperienza? 
“Quell’anno si ereditava una situazione complicata con giocatori retrocessi, con contratti pesantissimi per la categoria, e una squadra che anche per caratteristiche non si sposava proprio con il tipo di gioco che voleva proporre il mister. Io ho un ottimo ricordo comunque di quel momento, abbiamo fatto bene per buona parte della stagione, ci hanno esonerato che eravamo ai playoff e chi è subentrato non è riuscito a confermare il piazzamento. A gennaio è stato venduto Castro che era il più forte attaccante che avevamo e quei mesi credo siano stati l’ultimo momento prima della fase calante della SPAL che due anni dopo è retrocessa. È difficile fare un confronto dal momento che le uniche persone che ricordo e che ho ritrovato erano due magazzinieri e due fisioterapisti. Ho trovato una società completamente cambiata che chiaramente non è assolutamente paragonabile per momento storico e categoria”.

Quali sono gli obiettivi e cosa bisogna trarre dalle amichevoli come quella giocata contro il TNT Monte Peller?
“Quando si fanno queste amichevoli la questione è più legata alle idee dell’allenatore che alla ricerca della forma fisica. Oltre al Sassuolo (amichevole sabato 20 luglio, ndr), le altre sono squadre di categoria inferiore che chiaramente non possono metterti in grossa difficoltà. Trovare un avversario sulla carta più debole ti consente di provare e sviluppare l’idea di gioco che vuoi mettere in atto. Poi più ci si avvicina al campionato e più si alza il minutaggio di coloro che il mister pensa possano essere i titolari. Ora come ora si predilige l’aspetto tattico, poi verrà valorizzato il minutaggio, anche se la condizione ottimale vera e propria la si avrà dopo le prime quattro/cinque giornate di campionato”.

Le amichevoli in programma sono sempre successive alla seduta del mattino. In questa ottica quanto possono pesare i carichi di lavoro sulle prestazioni? 
“L’amichevole non è una sfida che prepari come una finale. È sostanzialmente un allenamento, anche perché rientra proprio in un programma più ampio. La mattina generalmente non fai lavori così pesanti, a meno che non si tratti di situazioni in cui una squadra di serie A affronta una squadra dilettantistica. Il problema non è il lavoro prima della partita: noi non facciamo grossi lavori fisici, anche perché siamo intorno al ventesimo allenamento e i giocatori sono stanchi; l’obiettivo che ci interessa è ritrovare la soluzione tattica e applicarla al campo. Considerando la condizione fisica nostra, così come quella delle altre squadre, nessuno è pronto, siamo tutti in difficoltà. Le amichevoli contano soltanto per vedere quanto la squadra ha appreso dal punto di vista tecnico-tattico le indicazioni del mister: ti aiutano a vedere le caratteristiche degli atleti prima che dei giocatori. Nella partita di ieri (18 luglio, 10-0 contro il TNT Monte Peller) alcuni hanno messo in campo volumi importanti nonostante abbiano giocato massimo 45 minuti e nonostante l’avversario fosse modesto. Orfei è stato uno di questi, ha corso tanto, ma oltre a lui anche altri ragazzi che hanno corso e reso più di quanto ci potessimo aspettare dopo l’importante lavoro svolto in questa prima parte di ritiro”.

 

hanno collaborato Enrico Baroni e Tommaso Vissoli