foto Filippo Rubin
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Il leggendario Oscar Massei ha festeggiato il suo 90° compleanno con la gente che lo ha amato di più in assoluto. La sua splendida famiglia, certo, ma anche il pubblico di Ferrara che lo ha ammirato in campo e riverito fuori, spesso grazie ai racconti di nonni, padri ed ex compagni di squadra. Massei ha trascorso l’intera giornata in città per presentare il romanzo biografico intitolato “Oscar Massei – L’oriundo, il capitano, l’esempio”, scritto da Enrico Menegatti ed edito da Minerva. Un volume di oltre 300 pagine che ripercorre tutte le tappe della memorabile carriera di un fuoriclasse che nei nove anni trascorsi in maglia biancazzurra ha scritto pagine indimenticabili di storia.

Quella di Massei è una vicenda umana e sportiva fatta di passione, lavoro e soprattutto sacrifici che hanno contraddistinto la giovane età di un ragazzo cresciuto in un paese che molto presto avrebbe dovuto convivere con la terribile Revolución Libertadora di metà anni Cinquanta. Insomma qualcosa totalmente agli antipodi rispetto all’ideale di calciatore multimilionario che è impressa nella mente dei tanti giovani della nostra epoca.

La presentazione alla Sala Estense, vicina alle due ore di durata complessiva, è stata particolarmente partecipata e ha visto la presenza di tanti ex spallini illustri, non necessariamente contemporanei di Massei. La lista è lunga: Pasetti, Reja, Pezzato, Malatrasi, Novelli, Cantagallo, Stanzial, Ferrari, Braiati. Ma anche Fabio Capello, che ha inviato un video di saluto e di auguri al suo capitano di allora. C’era anche Walter Mattioli, che nell’ormai lontano 2016 invitò Massei per la prima in casa in serie B dopo la lunga attesa di 23 anni. Non poteva mancare nemmeno la Curva Ovest che ha srotolato uno striscione poi esposto anche al “Mazza” durante la gara contro la Virtus Entella.

Walter Mattioli, Daniele Grimaldi e Franco Pezzato col libro di Enrico Menegatti – foto Filippo Rubin

L’evento ha avuto inizio con la proiezione di un filmato che raccoglie una serie delle marcature più iconiche della carriera di Massei, insieme a un insieme di foto della vita privata del giocatore. Successivamente è quindi cominciata la chiacchierata con l’editore Roberto Mugavero di Minerva che ha voluto raccontare la nascita dell’idea: “Penso che tutti i libri trovino le loro fondamenta da altri libri. Così è stato anche per questo perché dopo il volume che abbiamo scritto insieme a Walter Mattioli (“Dal sogno alla realtà”), abbiamo casualmente incontrato in piazza Oscar Massei, a cui abbiamo chiesto una foto. In quell’istante gli dissi che era necessario fare un libro per raccontare la sua storia e così è stato fatto”. 

La parola è quindi passata a Enrico Menegatti che ha raccontato il lavoro che c’è stato alla base del progetto, prima di riservare una piccola considerazione su cosa ha significato instaurare un rapporto di collaborazione con il protagonista : “Inizio raccontandovi un piccolo retroscena. Oscar (Massei, ndr) si era detto molto contento di raccontare la sua storia a una condizione: che possa portare in prima persona una copia a Papa Francesco per aver modo di parlare dei calciatori argentini della loro epoca. Negli anni Cinquanta il Papa avrebbe infatti avuto modo di vedere più volte Massei con la maglia del Rosario Central battersi contro il suo San Lorenzo”. 

“Credo che sia stato un grande lavoro, che ha richiesto un’analisi approfondita di numerose  fonti che si sono andate a sommare all’incredibile memoria del protagonista. Massei è una persona genuina così come lo vedete. Spesso si racconta che quando il calciatore argentino arriva in Italia è sempre per certi versi funambolico (ride, ndr) ma la sua forza credo sia sempre stata data dalla sua immensa semplicità al di là dell’incredibile tecnica”. 

foto Filippo Rubin

Un lucido e sorridente Oscar Massei ha quindi voluto raccontare in prima persona la sua idea di centravanti: “Io ero un centravanti, non un goleador. Il centravanti è quello che fa gol e che fa segnare i compagni così come hanno fatto anche Van Basten, Bettega, Boninsegna, Rossi, Totti o gli argentini Pontoni, Pedernera e Di Stefano. Tutti questi giocatori erano dotati delle caratteristiche necessarie per essere considerati fenomenali in quanto sapevano fare gol, correvano per la squadra e avevano la cosiddetta intelligenza nel leggere il gioco.”

Il racconto si è poi soffermato sui delicati anni vissuti in Argentina durante gli anni della gioventù: “Gli anni in Argentina sono stati anni difficili, non abbiamo avuto una vita agiata. Papà era un macchinista che doveva mantenere cinque persone con uno stipendio. Non era assolutamente una cosa facile seppur abbia avuto un importante aiuto dai risparmi che mia madre aveva tenuto da parte. Credo che mio padre fosse una brava persona, forse un po’ distratta, così come un po’ tutti gli argentini. Anche lui era figlio di italiani e se devo essere sincero credo che la mentalità italiana ci abbia proprio insegnato a lavorare in un contesto multietnico”.

Gli inizi di carriera di Massei sono stati particolarmente difficili, viste le somme esigue che circolavano nel calcio in quell’epoca. Avere l’opportunità di mettersi in mostra non era assolutamente cosa facile visto che tutti i giocatori di massima serie e non, dovevano riuscire a conciliare lo studio e il lavoro con il calcio. “Io sono stato molto precoce, a sedici anni giocavo nel campionato dilettanti con la prima squadra del Centro Cultural Alberdi. Non percepivamo niente a livello economico se non qualche premio. A diciassette anni venne il Rosario Central a fare un’amichevole contro di noi e notò le mie qualità da rifinitore. Io però nel mentre ero entrato in aeronautica e dovevo quindi dedicare la mattina allo studio e il pomeriggio al calcio. Non era facile ma riuscii a conciliare gli impegni: in tre anni nel Rosario Central feci 46 gol”.  

Nel 1955 in Argentina scoppia la rivoluzione e l’intera società viene messa in grande difficoltà da un punto di vista economico. Massei nel mentre riceve un’ importante offerta dall’Inter di Angelo Moratti che sembra pronta a investire su di lui: “Nel 1955 ero militare ed era molto complicato perché una volta scoppiata la rivoluzione il governo argentino difficilmente ti lasciava il nulla osta per andartene in un altro paese. A dicembre abbiamo passato un mese veramente difficile. Un giorno arrivò Attilio Demaria che era un intermediario dell’Inter che mi propose di trasferirmi a Milano per giocare nell’Inter. Mi propose un acconto di 160mila dollari mentre nei primi tre anni in Argentina ne presi in totale 90mila. Non ci ho pensato due volte e ho deciso di accettare”. 

“Mi sono quindi recato a Buenos Aires dicendo che rinunciavo alla nazionale e per questo non mi hanno nemmeno dato la chiave d’oro che era un trofeo che veniva dato al miglior marcatore del campionato argentino. Sono partito per l’Italia senza aver firmato dei contratti preliminari. Il problema era che non mi davano il congedo e in qualche modo io avrei dovuto prendere il volo entro il 31 dicembre, altrimenti sarei dovuto rimanere in Argentina per altri sei mesi. Il 28 mi firmano finalmente il congedo e arrivai finalmente in Italia”.

foto Filippo Rubin

Arriva quindi il momento di adattamento al calcio italiano sotto l’ala protettiva di Angelo Moratti: “Moratti è stato uno dei più grandi presidenti che ho avuto, era un uomo di poche parole ma con uno sguardo e una personalità profonda. Avevo 21 anni e non ero preparato a un campionato tatticamente così difficile. Nelle prime dieci partite però andai molto bene e credo principalmente perché giocavo in un ruolo dove un giocatore può inventarsi sempre qualcosa. Nelle prime dieci partite feci otto gol con una doppietta al mio primo derby di Milano prima di incappare in un importante infortunio al ginocchio”. 

La fase di riabilitazione legata all’infortunio al ginocchio non fu particolarmente facile come dimostra il prestito poco positivo alla Triestina. Ma è proprio nel momento più difficile della carriera che arrivò la chiamata della SPAL di Paolo Mazza che decise di scommettere sul bomber argentino: “Dopo la retrocessione con la Triestina, dove comunque sono migliorato di condizione nel secondo semestre, Mazza mi contatta dopo una tournée per portarmi alla SPAL. Ricordo ancora che mi disse: ‘Tu a Trieste prendevi sei mentre qui ti devi accontentare di tre’. Io non ci pensai due volte perché la mia priorità era mettere alle spalle definitivamente l’infortunio. Mazza era un uomo leale con cui non ho mai litigato, ma era sempre difficile parlare di soldi con lui (ride, ndr)”.

“Nella stagione 1959/60 debuttai da capitano al primo turno di Coppa Italia con il Parma. La squadra era veramente forte e la grande unione che si riuscì a creare con tutti i giocatori ci ha portato a raggiungere il quinto posto in serie A. A fine anno andarono via tanti giocatori come Picchi (fu ceduto all’Inter) e inevitabilmente gli anni successivi si fecero più complicati. Ma qua a Ferrara si era creata una famiglia con tutti i giocatori. Si stava bene e i tifosi ti volevano bene e penso che proprio per questo ho deciso di rimanere qui per nove anni”.

foto Filippo Rubin

I nove anni di SPAL, scanditi in otto anni di A e uno di B, proiettano Oscar Massei al centro della storia del calcio italiano e della città di Ferrara. L’argentino dalla tecnica sopraffina diventa simbolo dentro e fuori dal campo per tutti i suoi compagni più giovani che lo prendono da esempio di professionalità

Il libro “Oscar Massei – L’oriundo, il capitano, l’esempio“, edito da Minerva Edizioni, è disponibile nelle librerie e nei negozi online specializzati.