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Non me ne vogliate, cari lettori, se in una giornata come questa trascuro la SPAL per parlarvi di Bruno Neri, un Uomo. Neri nacque a Faenza il 12 ottobre 1910 e morì il 10 luglio 1944 sull’Appennino tosco-romagnolo, durante uno scontro a fuoco coi nazifascisti. Aveva fatto il calciatore e, dal 1926 al 1940, aveva militato nel Faenza, nel Livorno, nella Fiorentina, nella Lucchese e nel Torino, totalizzando oltre duecentocinquanta presenze in serie A. Mediano di classe genuina, avrebbe potuto godersi fama e quattrini, e far finta di niente, ringraziando il cielo dei privilegi che l’omaggio al Regime gli avrebbe elargito. Invece lui era uno che, oltre ai piedi buoni, aveva anche un cervello fino e una spiccata percezione della dignità umana.

Bruno-Neri“Appassionato di arte e di poesia, fuori dal campo di gioco si dedicava sovente ad incontri culturali con scrittori, poeti ed attori e visitava mostre e musei” (A. Gensini, Bruno Neri, Storia del calciatore partigiano ucciso al Mugello, in “OK Mugello”, 24 gennaio 2014). Durante il suo soggiorno in riva all’Arno, mentre sul campo si guadagnava le lodi della stampa sportiva per le sue eccelse qualità tecniche, nel tempo libero “ … [era] di casa al Bar delle Giubbe Rosse di Firenze, il suo linguaggio forbito gli consente di avere conversazioni e coltivare amicizie con giornaisti e scrittori” (idem). Nel capoluogo toscano, Bruno completa gli studi superiori e si iscrive all’Istituto di Lingue Orientali dell’Università di Napoli, dimostrando un’ardente passione per lo studio. In seguito, durante la militanza granata, avrà modo di frequentare molti intellettuali torinesi e di condividere con loro la sua acerrima avversione per il Regime. L’atto forse più eclatante di cui Neri si rese protagonista avvenne a Firenze nel 1931, quando fu l’unico a non rendere omaggio alle autorità col saluto romano, prima della partita inaugurale dello stadio “Giovanni Berta”, oggi dedicato ad Artemio Franchi. Se si pensa che in quegli anni la presidenza della Fiorentina era occupata dal “… marchese Ridolfi, fascista e squadrista della prima ora, considerato da Mussolini un buon gerarca…” (idem), si comprende quanto quella pubblica dimostrazione di coerenza sia stata coraggiosa.

In effetti, al mediano Bruno Neri, che fra il 1936 e il 1937 giocò anche tre partite con la Nazionale campione del mondo di Vittorio Pozzo, il coraggio non mancava e, di lì a pochi anni, lo avrebbe dimostrato in modo inequivocabile. Dopo l’armistizio di Cassibile, infatti, si arruolò tra le file della Resistenza partigiana e diede la vita per la libertà. Il sacrificio del fuoriclasse faentino si consumò il 10 luglio 1944, quando non aveva ancora trentaquattro anni. Durante una perlustrazione, mitra a tracolla, per accertarsi che il suo battaglione potesse inoltrarsi in quella zona in soccorso dei paracadutisti alleati atterrati sul Monte Livata, inerpicandosi lungo il sentiero verso Gamogna, si imbattè in un gruppo di tedeschi e trovò la morte, assieme al compagno “Nico”, alias Vittorio Bellenghi. Così oggi, cari lettori, in questo Giorno della Memoria, che ci induce a riflettere sull’insensatezza umana, noi ricordiamo un vero Campione, un Uomo che merita davvero la U maiuscola. Penso che gli dovremmo essere doppiamente grati: primo perché ha dato la vita per la pace e la felicità nostra, e delle generazioni future; secondo perché ci insegna che è il sapere a rendere liberi, non il lavoro, come recita la scritta che campeggia sull’infernale porta di Auschwitz.