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Un altro pezzo importante della storia della SPAL se ne è andato nella notte tra martedì e mercoledì: Roberto Ranzani, spallino in più occasioni e in più vesti (giocatore, direttore sportivo, presidente) non c’è più. Si è spento a 73 anni, lasciando la sua amata SPAL a pochi passi dalla possibilità di un’altra promozione, quella che era la sua specialità. Ne aveva conquistate ben cinque da dirigente (due volte a Cosenza, Ravenna, SPAL e Perugia) e giustamente ne faceva un vanto in un’epoca in cui i vincenti a parole abbondano.

Ranzani era nativo di Robecco sul Naviglio, una ventina di chilometri da Milano, ma arrivò presto a Ferrara, neanche diciottenne scoperto da Paolo Mazza. Tempo di esordire in prima squadra nel 1962 che per lui iniziò una peregrinazione avanti e indietro da Ferrara con diverse stagioni di intermezzo in prestito (Mestrina, Genoa, Reggiana), fino al 1970 con l’ultima apparizione in biancazzurro. Almeno come giocatore. Perché Ranzani tornò alla SPAL in due occasioni da direttore sportivo: dal 1997 al 2000 (con la promozione in C1 del 1998 e la conquista della Coppa Italia Lega Pro nell’anno successivo) e dal 2002 al 2005.

Era un bel personaggio il direttore. Tanti lo chiamavano così, anche se i titoli contavano quel che contavano. Quando nel 2012 accettò di assumere la carica di presidente della Real Spal iscritta in serie D, Diego Stocchi Carnevali gli chiese se non dovessimo cambiare appellativo. Lui rispose con la sua usuale franchezza: “Non lo so, ma la carica conta meno di zero per quanto mi riguarda. Voi lo sapete, mi conoscete, io sono un uomo di campo, è lì che mi trovo bene e quella credo sia la dimensione che più mi appartiene, è quello che so fare da una vita“. Ranzani ha davvero passato una vita in campo, dimostrandosi grande intenditore e persona a modo, animata da una passione sconfinata per il calcio e i colori biancazzurri. Al figlio Gianluca, responsabile commerciale della SPAL, e all’intera famiglia va l’abbraccio della nostra redazione.