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“Ma non è che si può aspettare prima di vendere Grassi a qualcun altro?”. Alzi la mano chi non ha sentito (o letto) questo genere di considerazione nell’ultima settimana. Con quattro gol in due partite, “Gigio” Grassi si è imposto come uno dei protagonisti principali delle prime uscite precampionato della SPAL, scatenando così un dibattito popolare sul suo futuro. Che in teoria dovrebbe essere lontano da Ferrara, ma che in pratica è tutto da decifrare.

Potere anche del calcio d’estate e della sua tendenza ad elevare a personaggi da copertina giocatori che di norma non lo sono. Per la verità se si parla di talento puro Grassi potrebbe anche esserlo, ma la sua indole da taciturno (almeno fuori dal campo) glielo impedisce. D’altra parte il fantasista di Castelnuovo Garfagnana, giunto alla soglia dei 33 anni (li compirà il 21 ottobre) non ha bisogno di fare grandi proclami. Una lunga gavetta fatta di tanta C2 (Castelnuovo, San Marino, Borgo a Buggiano, Pontedera) e di sprazzi di Lega Pro parla per lui. Gol e assist a profusione, sempre in provincia, sempre lontano dai riflettori dei grandi palcoscenici. Uno che in alcuni casi è stato bollato come un talento sprecato, il classico pesce grosso dentro un acquario di pesci piccoli. Forse anche a causa di un ruolo, quello del trequartista, progressivamente scomparso dalle lavagne tattiche degli allenatori italiani nell’ultimo decennio.

Eppure il talento puro e l’imprevedibilità, soprattutto in un’epoca di talebani del pressing e dell’intensità (se non addirittura di orride espressioni pseudofilosofiche quali il “Cholismo”) hanno sempre un grande potere seduttivo. Così, dopo aver superato i trenta, Grassi è passato nella categoria dei beni di lusso del calcio. L’acquisto – costoso, ma probabilmente superfluo – da squadra già forte che vuole diventare ancora più forte. E’ stato così nel gennaio 2015 per l’Ascoli, che sborsò 100mila euro al Pontedera pur essendo primo in classifica; è stato così anche per la SPAL capolista dodici mesi dopo. In entrambi i casi Grassi ha rappresentato più uno sfizio che una necessità, un’aggiunta per aumentare il potenziale offensivo e compiacere ulteriormente i tifosi. Rigorosamente sul breve termine.

Prima che qualcuno si offenda, lusso non equivale a spreco. Grassi sia ad Ascoli sia a Ferrara ha dimostrato di poter avere un impatto significativo sulle sorti della sua nuova squadra. In bianconero ha fatto tre gol in quindici presenze (dopo averne fatti otto in diciannove a Pontedera), mentre con la SPAL ha esordito col botto a Pistoia (i 300 che erano al “Melani” lo ricordano bene) e ha fatto un altro paio di partite da fenomeno prima di essere relegato al ruolo di comprimario nel finale di stagione. Nel suo curriculum può scrivere di essere stato promosso dalla Lega Pro alla serie B due volte in altrettanti anni, anche se con l’Ascoli la promozione è arrivata a tavolino.

Il problema è che una volta raggiunta l’anticamera dell’Olimpo, Grassi è diventato di troppo sia per l’Ascoli, sia per la SPAL. Nel primo caso quello che pareva essere un equivoco tattico (l’impiego da mezzala) nascondeva ragioni evidentemente più profonde (lo confermò lo stesso giocatore durante la presentazione), nel secondo la società ha voluto passare immediatamente sopra al discorso tattico (che però c’è: Grassi da mezzala non rende) e ha rimarcato la necessità di alleggerire il monte ingaggi allo scopo di rispettare i rigidi parametri della Lega di Serie B. Purtroppo i beni di lusso costano e in alcuni casi può essere doloroso affezionarvisi. A quanto pare è questo il caso: parte della tifoseria vede in Grassi la variabile impazzita, l’elemento che con un’invenzione ispirata dall’estro – anche nello spazio di cinque minuti – può cambiare la partita. Per questo non vorrebbe vedere la SPAL privarsene. A meno che “Gigio” decida di impuntarsi e scelga di rimanere fino alla scadenza del suo contratto (giugno 2017), i suoi colpi saranno apprezzati altrove. Se valesse la pena risparmiare sulla spesa quotidiana per sfoggiare un gioiello, lo potrà dire solo la storia.