L’adesione della SPAL alla campagna #ioLeggoPerché non è solo meritoria, ma dà anche la possibilità di stabilire un ponte tra le imprese quotidiane dei biancazzurri e la letteratura. Due mondi apparentemente lontani, ma che hanno tanti punti di incontro.
Osservando il suo sguardo vivo e ascoltandone la parlantina si capisce che Luca Mora ne ha letti davvero di libri. Delle volte ho espresso scetticismo nei suoi confronti, perché sul campo mi sembra poco dinamico per la B, invece lui continua a segnare e dare tutto e mi smentisce. Poi studia filosofia e questo me l’ha fatto amare fin dal principio, da quel primo incontro in ritiro quando il mio direttore gli fece vedere il fotomontaggio di lui modificato che sembrava il Che. È a suo modo un rivoluzionario del calcio, Mora, anche solo per quella barba e quel capello da guerrigliero, ma soprattutto per la grinta che ci mette sempre, in campo. Tutta sostanza, Luca, fuori dalle apparenze. È qui che sta la sua rivoluzione: in un mondo, quello del calcio, di ricchi e disperati, lui se ne frega di tutte le pose da calciatore-tronista, di tutte le miserie alla Gianluca Vacchi, per intenderci. Allora gli suggeriamo Cent’anni di solitudine, di Gabriel Garcia Marquez, che avrà già letto, ma che magari rilegge, tra gli studi di Platone e Hegel che gli tocca fare per laurearsi.
Un altro che mi sembra così è Michele Castagnetti, che io chiamo Casta Divo perché ha quest’aura alla Brad Pitt, ma in realtà mi sembra un ragazzo che ama le cose semplici. E quindi gli suggerisco un’altra lettura rivoluzionaria, La conquista del pane, di Petr Kropotkin, anarchico russo. Un testo fondamentale che dovremmo leggere tutti, per accorgerci di quanto sarebbe facile vivere in un modo/mondo più giusto. E gliene suggerisco pure un altro, di un autore reggiano come lui, Daniele Benati, il libro si chiama Silenzio in Emilia.
Alex Meret ha 19 anni e corre il tipico rischio che solo i grandi talenti corrono: quello di bruciarsi le ali perché volano troppo vicini al sole, come Icaro. Allora gli suggeriamo Le metamorfosi, di Ovidio, per leggere quella storia e imparare a lasciarsi il tempo per crescere senza patemi, sbagliando tanto, volando bassi, non troppo vicino al sole, che poi brucia la cera con cui le tue ali erano legate e ti fa cadere in mare e rinunciare si tuoi sogni.
Nicolas Giani ha chiamato sua figlia Blanca e qualcuno (Federica Lodi) ha già detto che, se ne nasce un’altra, lui dovrà per forza chiamarla Azzurra. Anche a lui non gliene ho risparmiate, però si vede che ha a cuore i nostri colori, il capitano, al di là del nome che potrebbe dare alla secondogenita. Lettura consigliata: Fiesta di Ernest Hemingway.
Michele Cremonesi dovrebbe leggersi I tre moschettieri di Alexandre Dumas, e non solo perché qualcuno l’ha subito ribattezzato D’Artagnan, per il pizzetto in comune con l’eroe libresco. D’Artagnan è il ritratto del coraggio e forse, con le qualità che ha, un po’ di coraggio in più in campo gli farebbe fare il salto, a Cremonesi. Però va bene anche così, della nostra difesa è spesso il migliore, anche se si limita alle cose minime ma ben fatte (ce ne fossero come lui!). E infatti nei Tre moschettieri il ruolo dei servitori è centrale, senza di loro non si va avanti. Senza onesti servitori alla Cremonesi nessuna squadra al mondo può vincere qualcosa (vi ricordate i Galacticos? Zidane, Ronaldo, Figo, Raul, ma senza Makelele che sgobbava per tutti cos’avrebbero vinto?). Quindi, riassumendo, a lui la scelta: spingere in là i suoi limiti come quando è andato in aerea a saltare e ci ha fatto saltare in aria nell’esultanza folle, noi che eravamo in Curva all’esordio casalingo col Vicenza, e diventare davvero il coraggioso D’Artagnan, oppure continuare così, che comunque per noi è fondamentale lo stesso, come i servitori dei Tre moschettieri.
A Daniele Gasparetto cosa vuoi suggerire? Sono stato cattivo anche con lui, delle volte mi sembra che abbia più il fisico da pallavolista che da calciatore. Così sgraziato e un po’ goffo con quelle lunghe leve. Però ho un amico che aveva lo stesso fisico e faceva caterve di gol. Anche Gaspa può dare un contributo, come ha fatto l’anno scorso, di fianco ad un re come Marcello Cottafava. Gli auguriamo di trovare presto un’altra guida che lo esalti, allora, perché no, si legga Siddharta di Herman Hesse, nel frattempo.
Su Francesco Vicari andrebbe aperto un capitolo a parte. Per quanto ne sappiamo è stato l’unico giocatore della gestione Colombarini-Mattioli per cui è stato pagato il cartellino. Questo fa di lui un caso speciale, mostra la fiducia che c’è in lui come colonna della SPAL del futuro. Colonna può diventarlo già adesso, se tutti remano dalla stessa parte. Intanto leggiamoci Le avventure di Tom Sawyer di Mark Twain, caro Francesco. Non è un libro per ragazzi, come dicono quelli che non sanno niente, è un libro per chi il mondo degli adulti non lo capisce né lo vuole capire.
Manuel Lazzari ci fa impazzire in due modi diversi. Prima ci fa andare fuori di testa dal godimento perché salta ogni volta tre, quattro uomini sulla fascia, non si sa come, solo con la sua rapidità. Poi, arrivato sul fondo, sbaglia quasi sempre il cross. A lui, che è migliorato tantissimo in fase difensiva, manca davvero solo quella precisione tecnica nell’ultima fase della sua azione, per essere un giocatore, non esagero, da serie A. Direi che ne vale la pena di imparare a fare ‘sti benedetti cross, cosa dici, Manuel? Allora suggerisco di stare ogni giorno sul campo una mezz’ora buona dopo ogni allenamento a fare solo dei cross, finché non ti viene il vomito e, nei pochi momenti liberi da questo obbligo, di leggerti la storia di Bartleby lo scrivano di Herman Melville, per non adagiarsi mai.
Mariano Arini è un guerriero che non si è ancora messo la corazza, è un eroe che sembra un po’ aver perso la strada. Lo rivogliamo come ad Avellino e quindi gli suggeriamo l’Orlando furioso, di Ludovico Ariosto. Non c’è bisogno di leggerlo tutto, solo qualche ottava per capire che i cavalieri quando sono grandi e valorosi, come Arini, per quante difficoltà possano incontrare, poi alla fine ritrovano loro stessi e fondano una dinastia destinata a vera gloria.
Pasquale Schiattarella è il capitano che vorrei, non lo nascondo (e non me ne voglia il capitano di adesso, Giani): Schiattarella è la personalità che serve, il teatrante nato, il giocatore con più qualità del nostro centrocampo e ha già mostrato di tenerci, e non poco, alla maglia della SPAL. Vorrei vederlo leggere Eduardo De Filippo, perché so che sarebbe perfetto, meglio di Toni Servillo. Però il libro che gli suggerisco è Moby Dick, sempre di Melville, perché non faccia come il capitano Achab, che si è fissato che voleva uccidere sta balena, per vendetta, e finisce per morire lui, poi. Capitan Schiattarella potrebbe portarci lontano dagli abissi, invece.
Del Grosso mi ha fatto una grande impressione, il giorno della sua presentazione allo stadio. Sembrava un pugile che voleva tornare a combattere per il titolo di campione del mondo e che invece era stato tradito dalla vita e dalla sua troppa generosità, e voleva una rivincita. Gli suggerisco di guardare The Wrestler di Aronofky e di leggere Peso leggero di Olivier Adam.
Andrea Beghetto io lo vorrei sempre titolare. Gli esperti mi dicono che non si può, perché è ancora acerbo in fase difensiva. Ma un mancino così, che mette in area cross del genere, chi altro ce l’ha? Nella speranza che trovi sempre più spazio, potrebbe portarsi in panchina Che la festa cominci di Niccolò Ammaniti, tanto per passarsi il tempo finché il mister non lo chiama a scaldarsi e a fare ciò che gli viene meglio: giocare. Ma il vero consiglio è: ascoltare l’album di Cristiano De Andrè, De André canta De André, cioè la musica di un talentuoso figlio d’arte che dopo tanto vagare si è accorto che un padre così ingombrante non era un problema ma una fortuna.
Mirko Antenucci, il bomber, non ha ancora fatto un gol da quando è arrivato alla SPAL. Eppure, lui, di gol, ne può fare quanti ne vuole, quando vuole, basta che lo decida. Deve solo scrollarsi di dosso la pesantezza delle enormi aspettative nei suoi confronti, oltre alla sfiga che gli ha fatto prendere più pali che altro. Intanto leggerei un classico della leggerezza, del motto arguto e del gesto atletico che salva, cioè quella novella di Boccaccio dove c’è Cavalcanti che quando gli rompono i coglioni fa un salto e, leggerissimo, se ne va lontano da chi lo stressa e critica. È la nona novella della sesta giornata del Decameron.
Per Alberto Cerri potrebbe valere lo stesso discorso fatto per Antenucci, con in più qualche nota di quello che dicevo per Meret. Aspettiamolo, non critichiamolo sempre. Cerri è forte, fortissimo, e lo dimostrerà. Evitiamo di fare l’errore già fatto tante altre volte, dichiarare a Ferrara un giocatore un bidone, per poi vederlo sbocciare altrove (vi ricordate Cacìa? È ancora lì che ci purga, dopo aver fatto mille gol in serie B, mentre alla SPAL dicevamo che era “triste”, ma quanti altri esempi si potrebbero fare?). Allora, caro Alberto, leggiti Sulla strada di Jack Kerouac e fai vedere a tutti che giocatore sei.
Gianmarco Zigoni, altro figlio d’arte, il Cobra. Potrebbe ascoltarsi anche lui De Andrè figlio che canta il padre, certamente, però qui aggiungo l’invito a leggere La banda dei sospiri di Gianni Celati, perché secondo me gli piace.
Mattia Finotto è un altro che sta sempre per esplodere e non esplode mai. Allora gli dico di leggersi proprio Una cosa piccola che sta per esplodere di Paolo Cognetti. Lui, Finotto, può fare grandi cose, se mantiene la voglia di migliorarsi sempre e non si perde in errori tardo-adolescenziali.
A Luigi Grassi, el diez, suggerisco un libro stupendo, scritto da uno che è stato forse il più forte (e sottovalutato) giocatore della SPAL di tutti i tempi, amico del papà di un suo compagno (Gianfranco Zigoni), cioè Se mi mandi in tribuna, godo di Ezio Vendrame. Direi che non c’è altro da aggiungere, se non l’invito a leggerlo tutti, non solo Grassi.
Simone Pontisso io lo chiamo il Pontefice perché potrebbe mettersi a predicare gran calcio in mezzo al campo. Eppure anche lui è ancora inespresso, bisogna aspettarlo e chissà se abbiamo il tempo di farlo, con la salvezza da raggiungere ad ogni costo. Gli suggerisco un altro libro di Celati che si chiama Lunario del paradiso, perché è la storia di un ragazzo che cerca di trovare la sua strada e poi di fatto quel ragazzo l’ha trovata, anche se qualche anno dopo.
Mirko Spighi è il gregario che ogni ciclista vorrebbe in squadra per vincere il Giro o il Tour. Anche lui lo vorrei sempre in campo, se si potesse. So che ha due figli piccoli e allora gli dico di prendere l’Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo (ma riscritto in italiano moderno da Gianni Celati, edizioni Einaudi, 1990) e di leggerlo ai suoi bambini come fosse una fiaba, prima di addormentarsi con loro.
Eros Schiavon ha talmente Ferrara nel cuore che gli suggerisco un film che è girato a Ferrara (uno dei tanti) e che è forse quello che amo di più di tutti i film del mondo e si chiama Ossessione, di Luchino Visconti. E poi gli suggerisco un racconto sempre ambientato in città, nelle stesse strade, Una notte del ’43, che fa parte delle Cinque storie ferraresi di Giorgio Bassani.
Tommaso Silvestri per me è uno dei difensori più forti che abbiamo in rosa, ma anche su questo gli esperti hanno da ridire. Spero che gli verrà presto data un’occasione, intanto può passarsi il tempo leggendo Fight Club di Chuck Palahniuk, che magari ha visto il film ma non è la stessa roba.
Paolo Branduani è il portiere affidabile che mi porterei in qualunque serie, e allora gli suggerisco un libro che si può portare ovunque, e può anche far miracoli: Palomar di Italo Calvino.
A Paolo Ghiglione e Kevin Bonifazi, che ho visto ancora troppo poco, suggerisco due libri che parlano di calcio in un modo un po’ diverso dal solito mucchio di frasi fatte e quindi magari li aiutano a viversi il loro lavoro di calciatori con più gioia ancora, per capire che il calcio è soprattutto passione, e se lo fai solo per soldi e fama non hai capito nulla. A Ghiglione dico di leggere Un’ultima stagione da esordienti di Cristiano Cavina, a Bonifazi Selvaggi e sentimentali di Javier Marìas.
A Gabriele Marchegiani auguro di diventare forte come suo papà e anche più forte ancora. Non l’ho visto tanto, ma un po’ sì, è mi sembra che le premesse ci siano tutte. Consiglio di lettura: Lessico famigliare, di Natalia Ginzburg. Alberto Picchi non l’ho proprio mai visto giocare e, anche se di lui si dice un gran bene, dovrà come tutti dimostrarlo sul campo. Mentre aspetta il suo momento potrebbe leggere Il giovane Holden di Salinger.
A Leonardo Semplici nei momenti difficili in cui perdeva sempre quando era appena attivato gli mandai un tweet che gli faceva i complimenti per la sconfitta di Ascoli, perché dicevo che saremmo diventati noi l’Ascoli del futuro (cioè una squadra che le vinceva tutte, dominando la Lega Pro) se avessimo continuato così. Poi gli ho dedicato un editoriale che era un elogio talmente spinto del suo modo di allenare che lui stesso, il mister, si è chiesto se l’avesse scritto suo fratello e quelli della sua famiglia se mi avesse pagato, per scriverlo. Questo per dire che io, il mister, lo ritengo un grande allenatore e guai a chi dice che si deve mandar via. Anche se ne perdesse altre cinque di seguito, non ha nessun senso mandarlo via, per me (ma anche qui chissà cosa ne pensano i famosi esperti). Però – c’è un però – mi sembra che da quest’estate, e gliel’ho detto anche a lui quando ero in Italia, Semplici abbia perso un po’ di coraggio. Mi sembra cioè che viva un po’ nella paura e faccia tante scelte dettate dalla paura. Paura comprensibile, viste le attese, ma non per questo giustificata, nel senso che la SPAL non ha niente da perdere, e sarebbe bello vederla più sbarazzina e meno legata, una piccola Davide caccia giganti, una squadra che se ne frega delle differenze di budget e di nomi di squadre come il Verona e gioca un calcio spavaldo, con i suoi giovani migliori liberi mentalmente. Ecco, forse la SPAL deve liberarsi mentalmente. Naturalmente le mie sono chiacchiere da bar, e il mister sa benissimo cosa fare e cosa i suoi giocatori gli possono dare. Io, al massimo, posso suggerirgli di rileggersi il più grande di tutti, il suo concittadino Dante Alighieri, che nei primi canti dell’inferno è pieno di paure e poi se le scrolla tutte di dosso, cammin facendo, e poi vede di nuovo il cielo e arriva fino al paradiso. E quindi uscimmo a riveder le stelle, mister.
Al patron Francesco Colombarini mi sento solo di dire grazie grazie eternamente grazie per averci liberato da quel che c’era prima. E allora per me può leggere quello che gli pare, anche non leggere niente che va bene lo stesso (tanto lo so che legge, credo anche che la sua consorte sia una professoressa d’inglese, quindi non ci sono problemi in merito a possibili letture). A suo figlio Simone spedisco la stessa quantità industriale di grazie e gli mando anche un consiglio di lettura, questo: Momenti di trascurabile felicità, di Francesco Piccolo.
A Davide Vagnati, che ha imparato così in fretta e bene un mestiere difficilissimo, come quello di costruire una squadra che rispetti le attese altissime di una città con fame di calcio vero, oltretutto con un budget non elevatissimo e non deciso da lui, suggerisco di leggere I sotterranei, di Jack Kerouac. È un libro scritto in una notte, che si può leggere in una notte e così non leva troppo tempo alla sua ricerca di giocatori adatti per fare sempre meglio.
Per Walter Mattioli, che fa un lavoro davvero usurante e ha fin troppa pazienza, con tutte le cose che deve seguire, tutte le persone che chiedono chiedono chiedono, serve un libro per distrarsi un po’, e magari delegare ad altri le cose di cui non è specialista. Mi spiego meglio: il Pres è un fuoriclasse, per esempio, nel coinvolgere i tifosi, è un vincente, è onesto e ha a cuore la SPAL come pochi presidenti prima, forse come solo uno prima di lui, Paolo Mazza. Ce l’ha talmente a cuore che rischia di voler far tutto lui e, per eccesso di buona volontà, ottenere a volte risultati meno buoni di quello che avrebbe se affidasse qualche aspetto della sua gestione a specialisti dei vari settori. Gli consiglierei Verso la foce, sempre di Gianni Celati, perché si svolge in tutti i piccoli paesi della provincia ferrarese e quindi il Pres si troverà a casa, e poi perché a me ha aiutato a capire che non ero invincibile, né indistruttibile, né capace di arrivare sempre dappertutto. E non per questo mi sono sentito sminuito, anzi. E buona lettura a tutti.