A voler ignorare alcune leggi dello spazio e del tempo, si può dire che oggi ci siano poco meno di cinque chilometri a separare Paolo Mazza e Gibì Fabbri. Lo spirito del primo alberga già da più di trent’anni sullo stadio che una volta fu Comunale, mentre il proverbiale stellone di “Brusalerba” sarà sempre fisso sopra il Centro di Addestramento di via Copparo grazie all’intitolazione ufficiale del 25 marzo. Destini incrociati di personaggi cardine della storia biancazzurra, impressi anche nella toponomastica cittadina oltre che nell’immaginario collettivo. Mazza e Fabbri sono un pezzo – consistente – della stessa storia, fatta di idee spesso d’avanguardia se si parla di calcio. Ma sono soprattutto personaggi entrati nel cuore di chi li ha conosciuti o anche solo incontrati solo una volta. Caratteri non esattamente facili, eppure apprezzatissimi. E’ il genere di riconoscimento, tra i tanti, riservato ai grandi.
Se Gibì non fosse stato grande come è stato, prima di tutto come essere umano, in via Copparo non ci sarebbe stata la miriade di persone che si è presentata sabato mattina. Proprio mentre fuori da corso Piave si ammassava altrettanta gente, se non di più. Tanti tifosi, ma anche tanti che con Gibì ha condiviso un pezzo di strada, quasi sempre con un pallone che rotolava nei dintorni. Non che ce ne fosse bisogno, ma i tre figli di Fabbri hanno avuto un’ulteriore conferma di essere parte di una famiglia ben più grande. Fratelli acquisiti che in Gibì hanno visto un altro padre: Edi Reja, Paolo Rossi, Roberto Labardi, Andrea Mangoni… giusto per fare qualche nome tra i più noti presenti alla cerimonia. “Se papà vi sgridava – ha detto la figlia Elena – è solo perché vedeva in voi tanto potenziale. Ci teneva a vedervi migliorare”.
Vedere Paolo Rossi, uno che di facce rivolte verso di lui ne ha viste diverse, con gli occhi lucidi ha fatto capire in cosa consistesse il concetto di armonia che Gibì predicava in vita e ora viene fissato con una grande scritta sull’ingresso del Centro. “Nel calcio ci vuole armonia, come in un’orchestra”. Ora chiunque entrerà in via Copparo vedrà la faccia sorridente di Giovan Battista, con la sciarpa in mano e alle spalle una Ovest in festa. Il feudo della gente che non si stancava mai di incontrare e spesso ringraziare. “Cosa mi ringrazi? Sono io che dico grazie a voi” disse il giorno della promozione in B ad un tifoso che lo abbracciava durante la festa. E’ uno dei tanti aneddoti che si raccontano ancora oggi e che aiutano a rievocare la sua figura.
Anche Simone Colombarini ne ha voluto raccontare uno. Quando nell’estate della 2013 la sua famiglia si insediò alla SPAL, Gibì si assicurò di dare la sua benedizione: “Lo incontrai al Torneo di Monestirolo e volle regalarmi una delle sue vecchie sciarpe della SPAL, oltre che farmi il suo in bocca al lupo. Mi pare che meglio non potesse andare…”. Sì, decisamente. Lo stellone di Gibì splende luminoso su via Copparo e sulla SPAL.