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È del 2008 il romanzo di Paolo Giordano, “La solitudine dei numeri primi”, un successo sia in libreria che nella sua versione cinematografica. All’epoca Emiliano Viviano di anni ne aveva 23 e si apprestava a salutare la Serie B e Brescia per fare il grande salto in A, tra la solitudine dell’area di rigore del Dall’Ara e quella che automaticamente deriva dall’indossare il numero uno, aritmeticamente primo per eccellenza, che il portiere è solito portare sulla schiena. Il condizionale però in questo preciso caso sarebbe d’obbligo, perché invece lui ha scelto il 2, una mezza pazzia, ma che insieme ad altri mille interessi e ancor più passioni lo ha reso una figura di riferimento per la categoria che difende: “Ho sempre giocato in porta, il mio idolo da ragazzino era Rui Costa, quando frequentavo insieme a mio fratello la curva della Fiorentina. Ma a giocare mi avevano messo tra i pali e hanno visto che ci sapevo fare“. Nasce così l’Emiliano Viviano portiere, bresciano d’adozione, ma fiorentino nel profondo: “Noi siamo inconfondibili, ci piace prenderci in giro dalla mattina alla sera ma senza un motivo, per il gusto di ridere. Per noi esiste solo Firenze, si parla solo di Firenze ed è sicuramente un vantaggio per me essere allenato da Semplici, mio concittadino. A volte solo io capisco una sua battuta e viceversa, poi lui ogni tanto deve anche sopportarmi“.

Viviano è davvero l’immagine della serenità quando arriva nella sala stampa del centro GB Fabbri per la nostra chiacchierata. Per dimensioni è più simile ad un armadio che ad un essere umano, ma meglio così per i pali della SPAL, squadra che dopo l’amara esperienza nello Sporting Lisbona lo ha riaccolto in patria: “I sei mesi in Portogallo non sono stati facili. Mi avevano preso per fare il titolare, ma quando sono arrivato era già cambiata una dirigenza. Chi mi aveva voluto non c’era più e il continuo susseguirsi di eventi mi ha addirittura impedito di viverla male. Era una continua sorpresa, diciamo. Ho pagato colpe che onestamente non riuscirei ad attribuire a nessuno. In pratica sono cambiati tre assetti societari in un mese e mezzo, poi mi sono anche infortunato al collo nel riscaldamento appena prima della gara d’esordio e in inverno mi sono ritrovato a dovermi cercare una squadra”.

Cosa sapevi della SPAL prima di arrivare a Ferrara?
Il calcio italiano lo conosco a memoria, quindi intanto sapevo che la ‘P’ significa ‘Polisportiva’. Poi io vengo dallo Sporting Lisbona che è una grande polisportiva. Ferrara la vedo come un’ottima opportunità: l’ambiente mi piace, la società è in crescita e cerca sempre di migliorarsi e di metterci a disposizione tutto quanto nei limiti del possibile. Poi qua c’è passione e io inseguo quella. Dove vedo trasporto io vado, sono mosso da questi stimoli“.

Passione che hai anche per la musica. Nei pre partita non è difficile vederti ballare sulle note dell’impianto audio dello stadio…
Eh beh grazie, se mi mettete su ‘Enter Sandman’ dei Metallica come faccio a stare fermo? Li ho visti cinque volte e la sesta sarebbe dovuta essere a Lisbona a maggio. Ma ascolto veramente ogni tipo di musica. Vivo di jazz, blues, rock, metal, anche Sanremo. Magari non mi guardo cinque ore di trasmissione, ma mi ascolto le canzoni appena riesco. Mi piaceva molto quella di Cristicchi. Adesso devo informarmi su quali concerti ci sono in zona. L’unico genere che non riesco a farmi piacere è quello che passa adesso, anche se lo apprezzo perché dietro ci sono sicuramente degli sforzi notevoli“.

I balletti pre-gara sono una specie di rituale?
Ognuno ha il suo approccio alla gara, non c’è nulla di giusto o di sbagliato. Come la scelta di esultare o meno quando si fa gol alla propria ex squadra, bisogna fare quello che ci si sente. L’importante è il rispetto verso tutti quanti: non ho mai avuto alcun problema nella mia carriera con le tifoserie ‘nemiche’. Nonostante il mio passato bresciano e doriano non ho mai avuto problemi né con i tifosi del’Atalanta, né con quelli del Genoa, semplicemente perché c’è rispetto reciproco“.

Sì, ma ammetterai che è curioso vedere un portiere ballare per prepararsi alla partita. Tutti quanti sono super concentrati mentre tu te la passi così.
Sì, sono un po’ diverso in quello (ride; ndr). I miei compagni sanno come sono fatto e per non rompere le scatole agli altri cerco di stare per conto mio, perché la vivo in maniera easy. Cerco di non sprecare alcun tipo di energia mentale prima del fischio d’inizio, poi da quel momento in poi la concentrazione deve essere massima. Ognuno ha il suo modo di prepararsi al match e l’importante è non dare fastidio agli altri“.

Poi è il campo che parla e finora a Ferrara sta andando bene. Contro l’Atalanta abbiamo visto una parata clamorosa di piede su Gomez. Come hai fatto a prenderla?
A volte spiegare come si para un pallone è complicato. In quell’azione ho perso di vista la palla almeno tre o quattro volte, ma è una dinamica frequente per i portieri. Sono stato fortunato che nel momento in cui Gomez ha calciato io mi stavo spostando dalla parte giusta e la parte del corpo con cui potevo arrivarci meglio era la gamba. In tanti mi hanno chiesto come avessi fatto a prenderla e la mia risposta è sempre stata la stessa: non lo so, d’istinto. Sul gol di Zapata, invece, avrei potuto fare meglio. Ma non tutti notano questi dettagli tecnici che solo un occhio esperto può vedere perché è difficile notarli“.

Però intanto i voti al fantacalcio li stai portando a casa…
Non leggo i giornali, non bado alle pagelle, ma gioco al fantacalcio, quello sì. Ne faccio addirittura tre, ma non mi prendo mai. In passato sì, ma ora ho smesso. In due squadre ho Donnarumma, nella terza Sirigu. Cosa dico a chi mi ha comprato? Che ha fatto una cazzata (ride; ndr). No, in realtà credo che la mia fama di pararigori sia stata decisiva per chi mi ha acquistato, per ora solo a Parma ho avuto la possibilità di regalare a qualcuno un +3, ma è andata male“.

Boateng ha risarcito un fantallenatore dopo aver lasciato il Sassuolo per andare al Barcellona.
Sì, ho visto. Pure io avevo preso Boateng a inizio campionato, però per fortuna una delle nostre regole è che se un giocatore viene ceduto all’estero si recuperano tutti i fantamilioni spesi, quindi ho tirato un sospiro di sollievo“.

Che rapporto hai con i social network? Sei presente su Instagram e Twitter.
Tra i due preferisco Twitter perché è più facile e immediato leggere le notizie, mentre su Instagram il tema principale dei miei post è la musica. Tutti gli altri argomenti, come ad esempio la politica, cerco di lasciarli a chi se ne deve occupare di mestiere. Non fraintendermi, io seguo tantissimo la politica, mi interesso del mio futuro e di quello della mia famiglia, però c’è già chi deve pensare a governare il Paese. Ovviamente ognuno deve avere la sua idea, il proprio punto di vista, ma noi sportivi siamo personaggi pubblici e siccome è un argomento delicato non credo sia il caso di affrontarlo a colpi di tweet. Mentre purtroppo la direzione intrapresa dall’Italia sembra essere questa e io non sono d’accordo“.

Se il calcio non fosse diventato il tuo mestiere cosa avresti fatto?
E’ una domanda che non ho fatto in tempo a pormi. Vengo da una famiglia normalissima che mi ha sempre supportato nel mio percorso di studi. Poi quando sono diventato autosufficiente è iniziata la mia carriera e quindi questo è un problema che non mi sono mai realmente posto. Ma sicuramente mi sarei trovato qualcosa da fare, ho tantissimi interessi. Ho un ristorante, mi piace l’abbigliamento, mia moglie ha un negozio di vestiti. Insomma, non mi sarei perso in un bicchier d’acqua, mi piace arrangiarmi“.

Quindi chiuderai col calcio una volta appese le scarpe al chiodo?
No, spero proprio di no. Il calcio sta migliorando sotto tanti punti di vista, vedo più professionalità a livello dirigenziale, ma non solo, rispetto a quando ho iniziato a giocare, nel 2004. Ma credo che si possa fare un ulteriore passo avanti e mi piacerebbe contribuire a questa crescita con la mia voglia di fare“.

In un’intervista del 2017 hai detto che preferisci osservare ma che allo stesso tempo una delle tue più grandi paure è la solitudine. Dalla porta si osserva tutto il campo piuttosto bene, ma sicuramente non sei in compagnia, anzi, quello del portiere sembra quasi un altro sport.
Che non mi piace stare da solo è vero, preferisco vivere in compagnia e stare in mezzo alla gente, a tutta la gente, di qualunque tipologia. Ma i mesi di Lisbona mi hanno forgiato e messo a dura prova. Ed è altrettanto vero che il portiere è solo e non gioca a calcio, è un’altra disciplina. Ma io ora difendo questa categoria alla morte e nella mia carriera ho conosciuto tanti colleghi che poi sono diventati esempi da seguire“.

Sbaglio se dico che dalle tue parole emerge una notevole dose di personalità e leadership?
Questa è una qualità che non si insegna. O si è così, o non si è così. Ci si può impegnare, ma alcune particolarità del carattere le si ha dentro di sé. Il mio amico Portanova è stato capitano con più maglie diverse perché è leader di indole. Altri giocatori, penso a Javier Zanetti, hanno portato la fascia al braccio per altri motivi. Lui non parlava tanto, ma era un esempio per professionalità. Io ho questo carattere qui, a volte mi si è anche ritorto contro, nel senso che ora si parla di leadership e personalità perché vado per i 34 e sono un giocatore esperto, ma a 18 anni magari mi beccavo del cretino. Io però questo sono, purtroppo dico sempre la mia e sempre la verità. A volte è la mia, ma pur sempre la verità. Chiaramente posso sbagliare, ma questo mi ha permesso di restare in ottimi rapporti quasi con chiunque, perché poi io le spalle non le ho mai girate a nessuno“.

Che rapporto hai con mister Semplici?
Essere entrambi di Firenze vuol dire veramente tanto. Io capisco il suo modo di fare e lui capisce il mio. Noi fiorentini abbiamo la battuta nell’indole, poi lui è una persona estremamente semplice, tranquilla e tra noi c’è un rapporto professionale. Mi sopporta, ho le mie cose, nel tempo ho trovato un mio modo di allenarmi ma lo staff ha capito perfettamente la situazione e mi trovo benissimo“.

In carriera hai giocato in tante piazze storiche, ma non in club di primo piano. Le esperienze all’Inter e all’Arsenal sono state brevi e sfortunate. Ti manca aver difeso i pali di una big, oppure la tua è stata una scelta di vita?
Le qualità per fare il salto secondo me le avevo, ma i posti disponibili da portiere sono sempre minori rispetto agli altri ruoli. Nell’estate 2011 andai all’Inter e sentii grande fiducia nei miei confronti. In più venivo da una stagione da quasi titolare in Nazionale con Prandelli CT, ma davanti avevo un mostro come Julio Cesar quindi per continuare a giocare con continuità e restare nel giro avrei dovuto trovarmi un’alternativa, così ho preso la decisione di andare via a gennaio dopo aver recuperato dall’infortunio. Però non ho rimpianti e mi sono trovato bene ovunque: ho giocato in piazze fantastiche, ho esaudito il sogno della mia vita di giocare nella Fiorentina, ho indossato la maglia della Sampdoria e auguro a tutti quest’esperienza perché Genova vive di calcio. Ora la SPAL, ma anche a Bologna sono stato da dio. Mi sono tolto anche lo sfizio dell’estero, esperienza sfortunata a livello professionale perché quando arrivai all’Arsenal esplose Szczesny, un portiere fantastico, e quei mesi a fare la riserva mi sono serviti, era la prima volta che mi capitava di non giocare“.

Domenica c’è SPAL-Fiorentina e tu sei un tifoso viola da quando eri ragazzino. Com’è giocare per e contro la squadra per cui si tifa, visto che hai vissuto entrambe le situazioni?
Io ho esordito in A contro la Fiorentina, pensa te che casualità. Ho passato veramente domeniche su domeniche in curva a tifare viola, mi alzavo presto al mattino e partivo con mio fratello per essere allo stadio due ore e mezza prima dell’inizio della partita. Quindi giocare per la squadra della mia città era un sogno. All’inizio c’è stata tanta ansia e sentivo le responsabilità, ma ho vissuto delle emozioni incredibili, la gente rivedeva in me il giocatore fiorentino che mancava da una vita. Poi piano piano ho fatto l’abitudine e anche da avversario lo stato d’animo è sempre stato simile. A Bologna, ad esempio, alla presentazione ho detto chiaramente che il mio cuore era viola, poi mi sono spiegato coi tifosi: ho chiesto loro se preferissero sapere la verità o sentirsi raccontare una balla e così mi hanno capito. Poi in campo mi sono sempre comportato da professionista e in quella mia prima stagione siamo addirittura andati a vincere a Firenze dopo 32 anni e io sono stato il migliore in campo. Rimane il fatto che io resterò tifoso della Fiorentina per tutto il resto della mia vita, quando finisco di giocare la prima cosa che faccio è andare a vedere cos’ha fatto, ma domenica deve vincere la SPAL perché si parla di lavoro. Poi spero che i viola vincano tutte le altre partite, ma quella di domenica no. E non vedo l’ora di scendere in campo perché rivedrò tanti ragazzi che conosco da vent’anni, gente che mi ha visto crescere e che è contenta per me, perché sanno come la penso. Io sono uno di loro che ce l’ha fatta a fare del calcio il proprio mestiere e spero di essere diventato negli anni un bell’esempio di un fiorentino che ha saputo fare qualcosa di buono“.

L’anno scorso si è anche parlato di un Semplici possibile allenatore della Fiorentina.
Difendere i colori della propria squadra è un onere. In città si parla di Fiorentina, siamo tutti tifosi della Fiorentina, in ogni angolo vedi cose riconducibili alla Fiorentina. E’ una piazza per certi versi simile a Napoli. Però poi in tutto questo siamo spettacolari, perché rompiamo il c**** su tutto e magari ci divertiamo ad arrivare tredicesimi piuttosto che quarti. Io ricordo che la Fiorentina di Trapattoni, che se Batistuta non si fosse fatto male avrebbe vinto lo scudetto, era criticata perché giocava male. Mentre Terim, a metà classifica fino all’esonero, era adorato perché predicava il calcio champagne“.

Siamo alle conclusioni, ma non posso non chiederti dove ti vedi nella prossima stagione.
Io spero di rimanere qua alla SPAL: sto lavorando affinché questo succeda, sarà una cosa che si dovrà vedere più avanti, anche perché là (allo Sporting Lisbona; ndr) sembra che stia cambiando società un’altra volta. L’obiettivo è quello di restare, Mi piace tutto: la gente, la città, la vicinanza alla mia famiglia che è a Brescia. L’impatto alla SPAL è stato più che positivo. Ok, non mi ricordavo tutto sto freddo in pianura, ma venivo dal sole di Lisbona… Qualche giorno fa ho fatto una videochiamata con Bruno Fernandes ed era a bordo campo a fare allenamento in maglietta a maniche corte“.

Ma prima di luglio c’è un appuntamento già segnato sull’agenda di Viviano, il Roland Garros, torneo del Grande Slam di tennis: “Sono un malato di tennis, ma nello specifico di Federer. Spero non abbia finito di vincere. Ho conosciuto anche Nadal quando ero a Londra e pure lui è un fan di Federer, giusto per far capire quanto sia stato importante Roger per questo sport. Il Roland Garros inizierà proprio quando il campionato di Serie A sarà finito, magari un salto lo faccio“.