Cinque vittorie su sette, primo posto in classifica in coabitazione, la convincente affermazione su San Severo e un ambiente carico come non lo si vedeva da tempo. Sono tutti elementi che ci hanno convinto a fare una chiacchierata con Spiro Leka, uno degli artefici di questo momento magico per il Kleb Basket Ferrara. Un uomo tutto d’un pezzo a cui non piace essere messo sul piedistallo. Un vero cultore della palla a spicchi, un allenatore che si definisce orgogliosamente schietto e forse anche per questo si è fatto strada nel cuore della gente ferrarese.
Coach, racconta un po’ la tua giornata tipo qui a Ferrara.
“Dunque: sveglia puntata alle 7.45. Alle 8.45 ho già finito la colazione, che di solito faccio a casa o in qualche bar della città. Sono al palazzetto già per le 9.15, quello è il mio ufficio. Se è in programma l’allenamento mattutino, lo preparo col mio staff e fino alle 12 siamo impegnati con quello, altrimenti lavoro con i giovani o studio altre partite, campionati, giocatori, il mercato. Mi piace analizzare tutto ciò che succede dall’Eurolega in giù per trovare qualche novità a livello tecnico-tattico. Bisogna sempre essere sul pezzo”.
In mezzo c’è il pranzo.
“Un pranzo veloce, perché alle 14.30 sono di nuovo al palazzo per preparare l’allenamento pomeridiano, che di solito inizia intorno alle 17.30. Il tempo, sembrerà strano, ma è poco. Dopo l’allenamento molte volte mi faccio una camminata, sulle mura o in centro insieme a mia moglie e magari ci fermiamo anche per un aperitivo. Anch’io devo tenermi in forma”.
Ma il lunedì è libero solo per i giocatori o anche per te?
“A me non cambia niente e mia moglie non manca mai di accusarmi (ride, ndr). Io il lunedì scarico le partite, le guardo, le studio, le analizzo. Parto dalla nostra e arrivo alle ultime tre giocate dai prossimi avversari che incontreremo. L’unica eccezione è stata questa settimana: mi sono concesso un giro a Bologna, da quando sono arrivato qui è la prima volta che vado”.
A casa come gestisci la tv? Concedi qualcosa a tua moglie o ancora basket?
“Ma scherzi? Tra Eurolega, Eurocup, Champions League la regola è chi più ne ha più ne metta. Purtroppo abbiamo una televisione sola, infatti dobbiamo attrezzarci per prenderne un’altra. Mia moglie vuole vedere le sue trasmissioni, ma alla fine vinco sempre io”.
Abbiamo visto che questa squadra ha un tifoso speciale, Daniel Hackett. Che rapporto ti lega a lui?
“Da quattro anni lavoro con Daniel durante il periodo estivo. Si tratta di un lavoro di development player, sviluppo individuale. Lo conosco da quando era bambino. Di solito facciamo una ventina di giorni insieme prima che vada in preparazione con la sua squadra. L’anno scorso siamo stati addirittura in Grecia e abbiamo fatto un percorso insieme al preparatore fisico del CSKA Mosca: io curavo la parte tecnica e lui quella atletica. Tra di noi c’è un amicizia straordinaria, è un lavoratore incredibile. Mi fa piacere questo legame. Lui guarda tutte le partite del Kleb, domenica era davanti alla tv che soffriva con noi”.
Capitolo tifosi. Chi è passato da Ferrara ha sempre avuto ottimi ricordi dell’ambiente che circonda la sua squadra di pallacanestro. Ti senti di poter dire che qualche tifoso ora lo consideri addirittura un amico?
“Io sono uno che viene dal basso e i tifosi mi hanno capito sin dall’inizio: mi reputo una persona schietta, non faccio giochetti, il consenso me lo guadagno con i fatti. La cosa che mi piace di questa tifoseria è che si è creato un bel legame, ma sempre nel rispetto dei ruoli. Quando cammino per il centro la gente mi ferma e mi stringe la mano, non c’è soddisfazione più grande. Vuol dire che stiamo costruendo qualcosa, stiamo lasciando un segno importante, anche se ancora non abbiamo fatto niente”.
Che rapporto instauri con i tuoi giocatori?
“Ho giocato pure io, vengo dal campo, mantenere le distanze non serve. Però sono consapevoli che se la fanno fuori dal vaso io gli vado contro, perché dopo certi limiti sono io il responsabile. Ormai sono 28 anni che lavoro in Italia, ho avuto la fortuna di lavorare con Scariolo e sapete cosa ho notato? Che gli allenatori bravi parlano con i propri giocatori. Loro rappresentano il pensiero di un allenatore e lo portano in campo. Se non hai un feeling con i tuoi giocatori non puoi pretendere che loro ti diano l’anima. A volte bisogna essere bruschi, ma per il bene della squadra”.
C’è qualche giocatore del Kleb che in futuro potrebbe diventare coach?
“Secondo me ci sono 3-4 elementi che potrebbero farlo, una volta che smetteranno di giocare. Penso ai due playmaker, Panni e Vencato, perché sono quelli che devono pensare di più per gli altri. Ma anche Campbell è un altro con cui già dall’anno scorso ho cominciato a ragionare da allenatore. Io cerco di lavorare con loro a 360 gradi e dargli in continuazione degli spunti, anche in previsione del loro futuro”.
Come ti senti a Ferrara?
“Facile, mi sento al centro dell’attenzione e posso esprimermi al meglio. Ma badate bene, non sono un uomo solo al comando. Io posso avere delle idee, ma dobbiamo avere una linea condivisa da tutti. Non è che quello che dico io sia sempre giusto, preferisco essere attorniato da ‘signor no’ piuttosto che da marionette. Nel 2019 si lavora in team, dal presidente all’ultimo dei magazzinieri, mantenendo gli stessi criteri”.
Cosa ti lega a questo progetto? Hai firmato per tre anni.
“Avevo altre proposte, ma qui ci sono delle potenzialità: una di queste sono i settori giovanili. Ma ci rendiamo conto? Se inizi a metterli tutti d’accordo a Ferrara puoi creare un polo ‘anti-bolognese’. Puoi fare 1.200 iscritti, ma devi fare un lavoro di qualità, perché i giocatori normali fanno uno step in più grazie ad allenatori competenti. Bisogna fare un investimento, spalmato su più anni. In 7-8 anni possiamo ritrovarci almeno una quindicina di giocatori dalla Serie B in su. Ci vogliono le basi. Questa città ha un bacino d’utenza enorme”.