A margine di SPAL-Cremonese 0-2 il presidente Joe Tacopina ha messo una certa enfasi sul tema della programmazione della prossima stagione, sottolineando come il futuro di alcuni calciatori dipenda dalle prestazioni che offriranno nelle sette partite conclusive del campionato.
L’argomento, in quel contesto, è parso vagamente prematuro: perché se da un lato è vero che la SPAL sembra essere in larga parte padrona del proprio destino grazie ai 7 punti di vantaggio sull’Alessandria, dall’altra non si può certo considerare al sicuro, soprattutto alla luce di certi periodi di affanno che hanno contraddistinto l’intero campionato.
In attesa di poter speculare con maggior cognizione di causa sui prescelti per la stagione 2022/2023 (anche alla luce dei vari contratti), può essere opportuno fissare un proposito valido per il presente e per il futuro: iniziare a fare figure migliori in casa. Perché, ok, l’atteggiamento esibito contro la Cremonese è stato apprezzabile, ma il conto delle sconfitte al Paolo Mazza inizia a essere pesante e questo incide inevitabilmente sul giudizio che il pubblico matura nei confronti della squadra. Così come ha un effetto sull’attrattiva per i potenziali spettatori: perché andare allo stadio per vedere una squadra che nel 50% dei casi rischia di uscire dal campo a testa bassa?
Finora la SPAL ha perso 7 delle 16 gare disputate a Ferrara (43,7%) ed è penultima nella classifica dei punti ottenuti in casa (15), con il solo Pordenone in grado di fare peggio. Le vittorie al Mazza sono state appena 3, di cui una sola nel girone di ritorno (SPAL-Ternana 5-1): ancora una volta solo il Pordenone ha fatto peggio (1), mentre il Crotone si assesta sullo stesso livello.
Sfogliando l’almanacco delle ultime venti stagioni la SPAL ha rimediato un numero maggiore (13) di sconfitte interne solo nell’annata 2019/2020, quella della rovinosa retrocessione dalla serie A con diversi record negativi (tipo questo, o questo, o questo). Se i biancazzurri di Venturato dovessero fermare qui il conto – restano tre sfide – eguaglierebbero la SPAL 2002/2003 giunta 10^ in serie C1 e la versione 2018/2019, quella della seconda salvezza dell’era-Colombarini col 13° posto in serie A.
Prendendo in esame la sola esperienza della SPAL in serie B il confronto diventa ancora più impietoso. Nelle 23 stagioni (l’attuale è compresa) al secondo piano del calcio italiano le cose non sono mai andate così male nelle partite giocate in corso Piave. Persino le sei SPAL che hanno chiuso le rispettive stagioni con retrocessioni in serie C sono riuscite a difendere meglio il loro campo. Il record era già stato battuto già con il KO a opera dell’Ascoli. In un calcio nel quale l’incidenza del cosiddetto fattore campo è diminuita nel tempo (lo dicono le ricerche) questo può anche passare come un banale dato statistico, ma sarebbe un po’ sciatto ritenerlo solo tale. Ovviamente nessuno avrebbe da ridire se la SPAL riuscisse a vincere il campionato facendo 10 sconfitte in casa, ma in condizioni normali il rendimento nel proprio stadio ha a che fare col senso d’appartenenza, l’aggregazione, l’orgoglio del tifo per certi colori e certi valori. Gli ingredienti che anche nel calcio del secolo XXI non dovrebbero mai mancare, a prescindere dalla provenienza di proprietari e dirigenti.