Ben tornata amore mio! Ti trovo bene! Però non far passare più così tanto tempo senza farti vedere. Tre mesi sono un’eternità. Vero che hai cominciato a scoprirti nel bollore della piena estate e lo so che non vuoi che parli di te come se fossi solo mia. Devo condividerti con un sacco di gente, di tutte le età e di tutti i generi. Ogni volta che ci vediamo scatta subito la “muciona”, ma a noi piace così, sei il folle amore collettivo di una moltitudine. Pellizza ti dipingerebbe come una curva in marcia verso l’infinito ed oltre. Il Quarto Stato della Curva Ovest.
Or dunque l’estate è stata impegnativa. Ma pure caratterizzata da un esperimento collettivo e mai tentato, l’uscita del romanzo “Più di undici” scritto dal Collettivo LAPS ed edito direttamente dalla curva Ovest, un peccato mortale non averlo letto e non possederlo (Piccolo spazio pubblicità). Ma poi arriva la giornata dell’esordio e per me il friccicorino è sempre lo stesso da 44 anni. Ricalco i passi millenari che faccio dalla fine degli anni Settanta. Là sotto, al baretto piccolo, scambio due parole con il Socrates di via Ippolito Nievo. Ci ricordiamo a vicenda quanto quest’acronimo dalle righe sottili sia importante nelle nostre vite, da sempre. Azzera l’età anagrafica, ricarica di endorfine e adrenalina, amplifica i sapori e gli odori. Perché pensandoci, per me almeno, è davvero l’unico luogo dove sono realmente me stesso. Non sono padre, marito, impiegato metalmeccanico. Sono solo Mazzo quello del Bar Trentino, quello che nel cortile veniva chiamato Tano, quello che sogna attraverso i colori della sua maglia, quello che non vorrebbe essere in nessun altro posto se non lì, tra quei gradoni e tra quella gente. A dire il vero avrebbe pure voluto essere in campo, da giovane e pure da vecchio, ma i piedi non glielo hanno consentito. Seppur nel sogno, il numero sei di Big Mec, quelle sue entrate di suola e quelle sue caviglie tenere lo riportano a una lontana epoca in cui alla Fulgor e al Motovelodromo sognava di indossare quella casacchina.
Al baretto ho condiviso un reintegratore di sali minerali con la schiuma con un’amica e ho abbracciato un amico fino a quel momento solo virtuale. Questo è il potere del tempio. Il calciomercato da sempre non mi entusiasma, anche perché non conosco i giocatori. Esiste una sola unica discriminante: indossi la mia maglia? Sei il mio idolo e sei il più forte di tutti. Non la indossi? Sei un giocatore di calcio, scarso per giunta. La salita nella pancia della Ovest è un po’ sempre uguale, i gradini paiono ripidi, fino a quando non vedi il verde del campo, che ti toglie il respiro molto di più del percorso fino al rifugio Coldai a oltre 2.000 metri di quota. Le facce della Ovest, quelle belle facce da spallini, mi riportano a casa tutte le volte.
Quando penso a S.P.A.L.-Cagliari non posso evitare di tornare al 1980 e alla doppietta di Bergossi. Dopo un 2-0 del primo tempo per i rossoblù la rimonta fino al gol del dribblomane ben oltre il 90°. Una partita che ha caratterizzato la mia infanzia. Ricordo come fosse ora il ritorno trionfale nel cortile di via Ungarelli tra due ali di ciroli adoranti, come se fossi stato un reduce della grande guerra. La Ovest è carica come una Santa Barbara di miniera, i cori vintage mi aiutano a mantenere vivo il ricordo di quella doppietta, i ragazzi ci danno dentro, loro sono forti, ma noi siamo la Corsarina di Ferrara: entrate, sportellate, spallate e sgroppate fanno alzare i decibel come al Sing-Sing. Cartellino rosso, loro sono in uno in meno e noi due in più contando la Ovest. ALM 19 ci ricorda perché lo abbiamo inseguito tanto, goal in tuffo di testa sotto la Ovest. EUFORIA. La gang bang aumenta di erotismo: mi tolgo la maglia e la mulino al vento, ritornano le facce sformate e felici. 1-0 per noi.
Secondo tempo: la Ovest non cala di tono e nemmeno la squadra, che soffre ma lotta. Un nulla in area dopo diversi minuti si trasforma in una chiamata di AldaVar, che succede? Rigore contro, un tizio con la maglia avversaria porta il pallone sul dischetto. Non può essere. Il direttore di gara indica il dischetto. Il ragno rosa occupa tutta la porta, le braccia toccano entrambi gli incroci dei pali. Guardo o non guardo? Mi sento qualche cosa, non so cos’è, una premonizione? No, porta sfiga. Ipnosi, tiro centrale e ribattuta di Alfio (Alfonso) coi piedi, lo stadio esplode. Moncini segna, si fa male e il gol viene annullato. Non mi ricordo se prima o dopo il rigore. L’arbitro decreta una mezza giornata di recupero. Triplice fischio, abbiamo vinto col Cagliari. Tutta la S.P.A.L. sotto la curva compreso l’infisicato Boss.
Sì, lunedì posso rientrare alla bomba H e posso finalmente dimenticarmi della doppietta di Alberto. Forza vecchio cuore biancazzurro.