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Uno virgola undici. Questo è il numero magico che contribuisce a spiegare il sostanziale fallimento dell’esperienza ferrarese di Roberto Venturato. Molto semplicemente: 1,11 è la media punti complessiva che il tecnico ha ottenuto nei suoi nove mesi di serie B sulla panchina della SPAL.

Un’andatura lenta che di norma significa sofferenza e critiche, magari una salvezza presa per i capelli, proprio come accaduto nello scorso campionato. Per pura coincidenza (o forse no?) la stessa identica media l’aveva prodotta la SPAL del suo predecessore Pep Clotet. Segno abbastanza evidente di una inquietante mancanza di progressi misurabili ritenuta sgradita negli uffici di via Copparo.

foto Filippo Rubin

Venturato era stato scelto a gennaio 2022 come una forza stabilizzante da opporre al più imprevedibile e mercuriale Pep Clotet. L’uomo d’esperienza al posto del giovane allenatore in ascesa, il profondo conoscitore della categoria scelto a fronte del semi-debuttante. Ma soprattutto il tecnico che avrebbe potuto permettere l’esportazione del Modello Cittadella: quello delle squadre che pur costando poco rendono la vita difficile a tutti, rischiando talvolta di sovvertire in maniera totale e trionfale i pronostici stagionali.

L’esperimento non ha funzionato. Cittadellizzare la SPAL non è possibile per molti motivi, a prescindere dalla quantità di ex granata che si possono materialmente trapiantare a Ferrara. Troppo diversi i contesti, le gerarchie, gli stili manageriali, le aspettative. Troppo radicata nel tempo e negli uomini la cultura organizzativa del Cittadella per essere copiata e riprodotta fedelmente su un progetto a breve termine. Quando è stato messo sotto contratto dalla SPAL Venturato ha portato con sé credenziali solide che hanno generato aspettative significative: quelle di un allenatore abile a valorizzare giocatori semisconosciuti o i talentuosi usciti dal giro buono, puntando soprattutto sull’efficacia dello sforzo collettivo attraverso l’applicazione di principi di gioco chiari e riconoscibili.

foto Settonce

Nei suoi primi cinque mesi di incarico Venturato provato faticosamente a dare un senso di compattezza dal punto di vista tattico, ma si è anche dovuto scontrare prima di tutto con un organico mediamente disfunzionale. Per caratteristiche dei giocatori, assortimento e anche profili psicologici. E poi è presto subentrata la ragione di stato: salvare (e presto) la SPAL da una retrocessione che sarebbe stata catastrofica. By any means necessary, per dirla alla Tacopina. In qualunque modo, bello o brutto che fosse. Alcuni risultati come le sconfitte con Reggina, Monza e Parma e i pareggi con Alessandria, Cosenza e Crotone hanno portato Venturato e la SPAL a faccia in giù sul ciglio dell’abisso e forse è stata proprio la paura a generare le energie che poi hanno consentito di conservare la categoria. Un epilogo segnato più dal sollievo che dalla soddisfazione, nonostante la festa al fischio finale di SPAL-Frosinone. Per questo a inizio estate la dirigenza ha ragionato sulla conferma più a lungo di quanto si faccia in circostanze simili, complice anche l’avvicendamento nell’ufficio dell’area tecnica. In quel periodo sono spuntate le prime voci di un possibile coinvolgimento di De Rossi, seppure smentite più o meno sbrigativamente.

Pur con delle inevitabili riserve, la società non se l’è sentita di fare un altro reset in panchina, nonostante il nuovo direttore tecnico Fabio Lupo avesse prospettato un progetto di ampia ristrutturazione dell’organico che è stato puntualmente eseguito. A fine maggio si pensava che proseguire con Venturato fosse la soluzione più logica a livello economico (per evitare di pagare contemporaneamente due allenatori e relativi staff) e soprattutto tecnico. Si pensava che con interventi di mercato e la possibilità di svolgere la preparazione Venturato avrebbe potuto finalmente incidere come ci si aspettava da lui e mettere da parte la problematica fase iniziale. In quest’ottica sono arrivati Varnier, Proia, Valzania, Maistro, Moncini e La Mantia: tutti giocatori esperti per la serie B e che in alcuni casi avevano già lavorato con il mister. Il club però ha anche tenuta aperta una via di fuga, lasciando il contratto in scadenza al termine della stagione. Un modo esplicito di far capire che la fiducia sarebbe stata temporanea e condizionata da ciò che la squadra avrebbe dimostrato sul campo, non solo coi risultati.

foto Cristiano Pedriali

Pur con una rosa rinnovata e più compatibile col sistema di gioco 4312 la situazione non è migliorata granché: l’esordio in campionato con la Reggina ha subito dissipato l’euforia post Coppa Italia e rievocato gli spettri di una SPAL incapace di vincere al Mazza. Anche la successiva striscia di cinque risultati utili, accolta come un segnale di solidità, ha riservato zone d’ombra. Perché è vero che in alcuni momenti la SPAL ha fatto vedere momenti di brillantezza e furore agonistico (col Venezia, col Bari) che hanno ricordato un po’ il tignoso Cittadella che fu, ma ha anche palesato limiti strutturali che hanno spesso rischiato di farla deragliare. Il punto di svolta in negativo della relazione tra Venturato e la SPAL è stata la prestazione di Como. Quel pareggio preso per i capelli grazie alla prodezza di Esposito ha iniziato a instillare dubbi nelle menti di una dirigenza che si aspettava di vedere passi in avanti e non l’insorgenza di una preoccupante fragilità. Nel personale conto di Tacopina (ma anche di Lupo) quello è stato il primo strike e con Genoa e Frosinone sono arrivati il secondo e il terzo, che nel baseball significano out, fuori. Due partite senza tiri in porta sono diventate una condanna. Dopo otto giornate Venturato poteva aver ancora margine di tempo per correggere la rotta, ma la SPAL ha voluto intervenire prima che ci si potesse avvitare in una spirale discendente difficile da controllare.

Non è stata quindi una scelta impulsiva quella presa ai piani alti. O meglio: lo è stata solo apparentemente, ma ha rappresentato l’epilogo di un breve periodo di riflessione che ha portato anche a esaminare le modalità di gestione del gruppo. Perché da una buona comunicazione tra allenatore e calciatori dipende non solo una migliore comprensione dei concetti tecnico-tattici, ma anche la creazione e la conservazione di quel clima di sintonia generale che è indispensabile per produrre dei risultati. Non sembra quindi un caso che – al di là delle preferenze di Tacopina – la scelta del sostituto sia andata nella direzione di un elemento come Daniele De Rossi: più giovane, considerato empatico, dotato di carisma naturale e di eccellenti capacità comunicative. Un mister-calciatore, che probabilmente sarà rapido anche a conquistare il favore del pubblico e dei media grazie alle sue doti caratteriali.

foto Cristiano Pedriali

Qualcosa che non è riuscito a Venturato, col suo approccio austero e riservato, che tra le altre cose non ha contemplato praticamente mai la ribalta di fronte ai tifosi a fine partita, a prescindere che si trattasse di vittorie o di sconfitte. In un calcio sempre più attento alle apparenze ed esaminato al microscopio dai social media la sua immagine di uomo mite, di buone maniere e di poche parole, probabilmente gli è costata qualcosa, sia dentro sia fuori l’ambiente SPAL. Tanti tifosi, a causa di uno stile espositivo un po’ carente di enfasi e di creatività, lo hanno spregiativamente paragonato a un prete di provincia attraverso commenti più o meno ironici. Questo ha contribuito a rafforzare la sensazione che non ci sia mai stata una reale e intensa connessione emotiva con una tifoseria che lo aveva accolto come degno rappresentante di una tradizione di validi allenatori e partiti dal basso, di quelli privi di una certa spocchia che spesso aleggia nel settore.

Ci riproverà altrove e avrà modo di fare bene, perché sei anni di risultati di quel tipo a Cittadella sono tutto meno che casuali. Venturato nel complesso è finito col pagare un cambiamento complicato da gestire. La prima nuova relazione dopo una felice a lungo termine quasi mai porta ad un’altra unione serena e duratura. S’è rivelato essere così anche col pallone di mezzo.