foto Filippo Rubin
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Buongiorno, io sono una pallone da calcio semplice. Oddio non proprio semplicissimo: ho colori sgargianti che gli evidenziatori in confronto a me sembrano beghine che sgranano rosai durante la novena. Ma i miei desideri sono sempre gli stessi. Sì, lo so che voi boomers avete ancora in mente i tempi belli in cui correvate dietro a un Mitre o a un Tango, ma su, aprite gli occhi: ora siamo in un altro millennio. Però noi palloni da football, come si dice lassù a Chelsea, ma anche quaggiù da voi in corso Piave, abbiamo desideri primordiali. A noi piace essere calciati di collo piede e stoppati di piatto e non viceversa. Sono consentiti anche i passaggini di paletta, ma quando questi superano i nove milioni nell’arco di una partita a noi ci si muove lo stomaco. Ecco perché poi diventiamo ancora più verdi: è per la nausea. Titictitac, pipicpipoc… provate voi ad essere mossi in qua e in là su linee orizzontali per quasi due ore. E noi oggi, e lo dico anche a nome dei miei colleghi, durante SPAL-Ascoli ci siamo stufati. Ci girava la testa per i troppi passaggi. Nasciamo per volare liberi. Non proprio come i Super Tele, ma liberi da una parte all’altra del campo, magari in verticale. Ci piace essere scaraventati verso la porta e dentro la porta. Ci piacciono i cross a centro area e non a filo d’erba. L’impatto su di noi deve fare stock e non plick. Quelle vostre assurde scarpette colorate come noi dovrebbero colpirci con più violenza. Non è che siamo dei masochisti, ma siamo fatti per essere presi a calci, non per essere accarezzati con delle mezze punte da ballerina.

Scusate, ho iniziato a scrivere senza avere preso le mie pastiglie. Talvolta il demone della scrittura si impossessa della mia tastiera e scrive robe farneticanti, come di palloni che hanno un’anima. La partita non è stata un granché, sicuramente non sembrava un Fluminense–Botafogo. L’impegno come sempre si evince, ma – come diceva poc’anzi il pallone – siamo lenti come un tango; la macina di un mulino in confronto a noi sembra il puleggino del Ciao. Non vorrei addentrarmi in analisi tecniche che non mi competono. Anzi, io ci capisco davvero poco di pallone, come il 99,9% dei fruitori di uno stadio. Ma da discreto difensore delle giovanili mi sento di dire una cosa. Sul gol che abbiamo preso, caro il mio ragazzo (mi riferisco al nostro difensore più vicino al goleador), non si può stare a tre metri dal tuo attaccante, vigliacca la Maremma. Mazzoni del Porta Mare in quell’occasione avrebbe coperto l’unico spazio che aveva la punta, entrando nei pantaloncini del medesimo. Il numero cinque del Porta Mare degli anni Ottanta ci metteva la tibia dove la maggior parte dei difensori di oggi non ci va neanche con la vanga. Finita l’autocelebrazione mi viene pure da aggiungere che a noi, la serie A, ha fatto male.

Sull’essere criticoni penso ci sia poco da fare, il ferrarese è così. Ma credo occorra rammentare che il nostro sogno è la serie B, come ha scritto un amico sulla fanzine della curva. La categoria cadetta è il nostro ambiente, è ciò per cui generazione di tifosi avrebbero dato l’anima. Ora ci siamo: l’obiettivo è il mantenimento della categoria, la squadra è questa, noi siamo questi, occorre fare di più, dappertutto, in campo negli uffici e sui gradoni. Sul primo gol non c’è stata la solita esplosione: sembrava che avessimo le polveri bagnate, nessun boato che si si sia sentito fino in Foro Boario. Poi l’utopia di non essere influenzati dal risultato e dal coinvolgimento della squadra rimane una realtà per pochi, sempre i soliti. Questa nostra serie A ha lasciato anche uno strascico importante in positivo, ovvero la passione dei bambini. Dall’alto della geriatria dove io abitualmente soggiorno vedevo i bimbi ballare e cantare a due minuti dalla fine come se fossimo sul 4-0 per noi. Ecco quella è davvero una grande vittoria, un risultato che mi fa sperare e che mi induce all’ottimismo.

Un’ultima cosa, e mi rivolgo a chi conosce a menadito il regolamento del giuoco del calcio: non è che tra i meandri degli articoli ce n’è uno che permetta ad una squadra di non usufruire dell’espulsione di un avversario? Cioè forse basterebbe erudire il nostro capitano che quando un arbitro sventola un cartellino rosso in faccia ad un avversario vada dal medesimo a dirgli che il fallo era inesistente, che il ragazzo va capito, non lo ha fatto apposta, inducendo il giudice di gara a non espellerlo. Liedholm diceva che si gioca meglio in dieci contro undici, vuoi vedere che aveva ragione lui? Il nostro fortino oramai è messo come la fortezza a stella: inesistente. Non sarebbe davvero male se ogni tanto, per sbaglio, ne vincessimo una in casa. Così, per fare una cosa diversa. Forza vecchio cuore biancazzurro