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Se è vero come è vero che scrivere di SPAL mi viene abbastanza facile, ci sono momenti in cui non mi escono le parole dai tasti. Sabato scorso non ho scritto perché non avevo alcuna positività da trasmettere su un testo scritto. Credo che qualcuno degli amici miei e dei lettori de LoSpallino mi sopravvalutino. Rimango pur sempre un cazzone che digita su una tastiera dei pensieri, spesso ripetitivi, su una smodata passione. Non ultimo spesso pecco pure di mentalità, insomma il mio unico neurone fa quello che può, sballottato da una parte all’altra di una testa sicuramente non da Nobel. Ora, dopo questo inutile pippone, mi chiedo: perché oggi scrivi? Proseguo con l’autoanalisi: non l’hai vista, hai ascoltato solo un tempo alla radio, non eri nella spedizione dei mille (sono loro la SPAL), non hai risposto all’appello della curva, perché ritieni di avere qualcosa di intelligente da dire? Non lo so, forse perché da qualche parte devo pur buttare fuori il giramento di palle.

A Ferrara vincere è qualcosa di dannatamente difficile. Ricordo, per gli statistici, che in 115 anni di storia solo tre proprietà ci sono riuscite. Ma per noi questo non è importante, oppure non è il motivo che ci fa vivere quei gradoni da decenni. Per noi l’importante è esserci, mantenere una categoria dignitosa, combattere in ogni partita, sputare la coratella ogni volta che si entra in campo. Non esistono giocatori, allenatori, dirigenti e presidenti che siano come noi. Seppur la gestione Colombarini ci abbia rappresentati come nessuno mai, senza dover scomodare il Mago di campagna. Chi si siede nelle avvolgenti poltrone del comando, chi occupa un posto di responsabilità in panchina, chi sgambetta coi pantaloncini corti il sabato legga la nostra storia, si documenti. Come per i presidenti, pure per gli allenatori vale il discorso fatto poche righe sopra: quanti possono vantarsi di avere vinto o di avere lasciato un segno nel nostro cuore? Per ciò che riguarda la mia generazione (i figli del baby boom e poco oltre) ve li indico io, in ordine temporale dal più antico al più moderno: il sor Mario Caciagli e la sua SPAL del paradiso; Giovanni Galeone e la sua allegra banda del Rocchino; il grande Giobatta Fabbri che bruciava l’erba assieme ai sui accoliti agli albori degli anni Novanta; Gianni De Biasi e i due pelati del nostro cuore e per finire l’immenso Leonardo Semplici negli anni dell’utopia. Pochini vero?

I giocatori che hanno lasciato segno nel cuore dei tifosi sono sicuramente di più, anche perché a Ferrara ci innamoriamo non solo dei campioni ma ci innamoriamo soprattutto dell’atteggiamento. Qui non vorrei fare alcuna lista, anche perché sarebbe davvero lunga. Ne vorrei citare tre, sicuramente non i più rappresentativi, sicuramente non quelli dei nostri sogni, ma che io e tanti altri abbiamo amato: Robocop Paganelli, Massimo Mezzini e Totò Improta. Dice, perché? Magari perché sudavano la maglia? No, troppo poco, non è più sufficiente. Perché incarnavano lo spirito di un cerbiatto mannaro autoctono delle sponde del Boicelli e non vuol dire solo sudare la maglia. Ciò che si è fatto in carriera tra campionati, coppe, onori, palloni, d’oro e campionati del mondo spariscono quando si indossa la nostra casacchina d’incanto. Cerco di essere più chiaro: non ce ne frega un cazzo del vostro passato, vogliamo vedere percolare il sangue, non il sudore quando indossate la maglia che fu di Massei, Mongardi, Pezzato, Manfrin, Gibellini, De Gradi, Cancellato, Floccari e Mora. Questo vogliamo da voi, tutti voi.

Certo, non sono così sprovveduto da pretendere l’amore viscerale e incondizionato dei mille di sabato allo scoperto nell’isola di Sant’Elena. Tutte le tifoserie ritengono di avere qualcosa di più rispetto alle altre quando si parla di amore per la maglia. Io penso che i tifosi della SPAL non siano secondi a nessuno nel dimostrare passione e accanimento. Mille è un numero sotto il quale mi ricordo poche partite in casa, anche negli anni più schifosamente infimi. Tante trasferte ci portarono a migliaia in giro per l’Italia, ma i mille e più di Venezia sono il punto dal quale ripartire. Non chiediamo alcuna parola, nessun impegno solenne, anche perché abbiamo visto che spesso le parole spese dalla dirigenza sono troppe e troppo sopra le righe. Questa società forse ci ha salvato dalla débâcle dopo che la famiglia Colombarini ha rischiato l’impero di famiglia e ha giustamente venduto la creatura, il nostro sogno, per non annegare. Il presidente Tacopina, ci ha mantenuto a galla con propositi… spropositati, ha pure speso tanti soldi, realizzando un gioiellino che è il centro GB Fabbri di via Copparo, sostenuto un settore giovanile tra i migliori d’Italia e i risultati si vedono. Ma è pure innegabile che per la prima squadra sono stati fatti troppi errori, a partire dalla gestione dei dirigenti, fino ad arrivare agli allenatori e poi alla costruzione della squadra. Credo che occorra chiarezza: occorre sapere se questa società ci sarà ancora anche in caso di fallimento sportivo, perché siatene certi, quei mille e molti altri ci saranno, anche in Terza Categoria (non solo in terza serie). Il valore della maglia che indossate è incalcolabile, non lo potete comprendere. Io vi capisco. Ma parlate coi ragazzi della curva, prendete sottobraccio un anziano col cuscino bicolore che va in tribuna, ascoltate le parole dei bambini. E forse solo allora capirete.

Non sono un grillo parlante e neppure un taumaturgo del cazzo: non ho idee né soluzioni, non sono in grado di indicare strade da percorre, addirittura non ho consigli da gettare nella pletora dei social a mo’ di merda in un ventilatore. L’unica cosa che posso dirvi è ripartite da quei mille, la prossima in casa avvicinatevi alla curva e guardateci gli occhi. Ecco solo allora capirete. Noi non molleremo mai. E voi?
Forza vecchio cuore biancazzurro.